Scoprire Genova - Appartamento in Affitto

Il diario di Walter

Tou_A

La Tou’a - © 1997 by \\/.\\\, Pangai

La Tou’a è la ragazza che nel fai kava (=kava party) mesce la kava ai partecipanti, siede dietro alla boule e, con una coppetta, un mezzo guscio di noce di cocco, riempie le coppette che i due assistenti, che le siedono vicino, man mano le porgono. Non sempre, al fai kava, c’è una Tou’a, quando non c’è è uno dei partecipanti che svolge tale funzione.

Ci sono poi diversi tipi di fai kava: quelli quasi cerimoniali, quando, ad esempio, degli ospiti arrivano in un villaggio: in tal caso gli ospiti d’onore sono i visitatori e gli altri partecipanti sono i notabili del luogo; o quello che si tiene alla domenica mattina, prima del servizio religioso in chiesa, cui partecipano i più importanti tra i fedeli di quella particolare comunità religiosa con il loro ministro ed eventuali ospiti importanti.

Poi ci sono quelli più informali, tenuti nei kava clubs, una o più volte alla settimana, solo un modo come un altro di passare la serata in compagnia, in tali clubs i partecipanti si raccolgono in uno o più gruppi, ed ogni gruppo può avere o meno la sua Tou’a, li’ si passa la serata bevendo kava, fumando, chiacchierando ridendo e scherzando, e, a volte, suonando e cantando. Altri fai kava possono essere tenuti da un gruppo di amici o conoscenti quando ne abbiano voglia ed occasione, ma in ogni caso, se c’è la Tou’a, alcuni dei partecipanti, all’arrivo le offrono caramelle o chewingum, od altri dolcetti del genere: magari solo 4 caramelle od un pacchetto di gomme, o un sacchetto di noccioline, ma bastano per passare la serata.

C’è poi un particolare tipo di fai kava, ed è proprio di questo che parlerà questa la storia: viene tenuto nelle case in cui c’è una ragazza in età da marito, in tal caso la Tou’a è la ragazza stessa, chiunque è benvenuto e può partecipare, e, tra la ventina e più di partecipanti, ci sono anche gli eventuali corteggiatori, un po’ come da noi tenere salotto.

Non tutte le ragazze scelgono di fare la Tou’a, perché se è vero che ci sono dei privilegi, è altrettanto vero che ci sono anche dei vincoli e dei rischi piuttosto pesanti. Le ragazze che non fanno la Tou’a, secondo la tradizione, possono scegliere il loro compagno ovunque tra le loro conoscenze, e se la loro scelta dovesse cadere sul compagno che poi si rivela sbagliato non succede nulla, possono comunque in futuro fare altri tentativi con qualcun altro, cosi’ come da noi qualsiasi ragazza può’ avere un fidanzato, non trovarlo adatto e dopo qualche tempo fidanzarsi con qualcun’altro.

Quelle che invece decidono di fare la Tou’a possono scegliere soltanto tra quelli che saranno nel suo gruppo nei fai kava: certo hanno una scelta più ampia, perché’ i giovani di tutte le isole viaggiano spesso e vanno a passare le serate da questa o da quella Tou’a, e poi ci sono i visitatori inaspettati che allargano ulteriormente il campo, ma la Tou’a comunque non può’ mai scegliere al di fuori del fai kava: lo stesso uomo che la sera prima la corteggiava, e che sarebbe stato felicissimo di averla, se contattato al di fuori del fai kava la rifiuterebbe. Se inizia a fare la Tou’a, lei può’ aspettare, anche per anni, a scegliere, ma dovrà comunque scegliere in quell’ambito.

Nel fai kava con la Tou’a, tutti i presenti, vecchi o giovani, comunque sia, le rivolgono complimenti e la corteggiano, spesso in modo scherzoso o con profferte evidentemente assurde, tra loro, poi, si scambiano commenti più o meno salaci allo scopo di sminuire gli altri pretendenti agli occhi della Tou’a. Lei, anche se in silenzio, comanda il gruppo: è suo diritto chiedere qualsiasi cosa, ma solitamente l’unica cosa che eventualmente chiede è che qualcuno in particolare sieda vicino a lei e, magari, dopo un poco, chiedere qualcun’altro. Solitamente ignora o respinge, fintamente sdegnata, le profferte amorose che le vengono rivolte, è suo diritto e privilegio accettare o rifiutare ogni tipo di approccio.

Qualche volta, pero’, la Tou’a comincia a non respingere più gli approcci di uno dei suoi visitatori: è il suo modo di comunicare che quello le piace, lui, pero’, deve ancora convincerla. Si darà da fare in ogni modo, sarà spiritoso o romantico o qualsiasi altra cosa, mentre gli altri smetteranno di denigrarsi a vicenda e cominceranno, invece, a lodare le sue capacita’ e virtù, per aiutarlo, e, se ci sono i cantanti, questi cambieranno repertorio: da quel momento in poi solo dolcissime canzoni d’amore. Questo perché la Tou’a può’ scegliere una sola volta nella vita, e cattiva o buona che sia stata la sua scelta, lei non potrà’ mai più fare la Tou’a nei fai kava con corteggiatori. Quando la Tou’a fa la sua scelta quella sarà comunque la sua unica occasione.

Quando succede che una Tou’a faccia il grande passo, alla fine del fai kava, tutti se ne andranno, ma il prescelto, se sarà stato capace di convincerla, tornerà dopo pochi minuti, troverà la lampada accesa e la sua Tou’a che lo aspetta. Passeranno assieme la loro prima notte d’amore, mentre li attorno i cantanti, se ci sono, continueranno a miagolare le loro canzoni finchè la lampada all’interno, resterà accesa, oppure finchè spunterà l’alba, poi anche loro se ne andranno a dormire.

Qualche volta capita che la Tou’a faccia una scelta terribile e molto difficile: vuole uno già sposato o uno che comunque, in qualche modo non è libero, qui’ dicono che ha scelto Ofa vei Tongo (il nome dell’antico Dio dell’amore). In tal caso lui la corteggerà come non mai, e le darà’ tutto il calore e l’amore di cui è capace, e alla fine del fai kava se ne andrà con gli altri, ma anche lui tornerà per quella che sarà l’unica notte di vero amore per la Tou’a. Quando succede, in pochi minuti la voce si sparge per tutta l’isola, la gente esce dalle case e si raduna in gruppi, vengono accesi dei grossi falo’ un po’ ovunque, vengono portati dei cibi e tutta l’isola passa la notte festeggiando e cantando.

Al mattino comunque lui se ne andra’, e se è già sposato, quella notte sarà stata l’unica che i due avranno mai occasione di passare assieme, lui tornerà a casa dalla moglie, e quella non s’arrabbierà per quello che noi chiamiamo tradimento, anzi, ne sarà lieta perché sarà stato il miglior regalo che lei potesse fare ad una ragazza cosi’ sfortunata in amore da non poter avere con sè il proprio uomo se non per una sola notte nella vita. Lei, la non più Tou’a, poi, magari si sposerà lo stesso, con qualcun’altro, ma sarà comunque, anche se felice, una soluzione di ripiego. Se poi in quella notte lei avrà concepito un figlio, il marito lo accetterà come figlio di Ofa vei Tongo e lo crescerà amandolo come se fosse suo.

Il palangi, che quel venerdì sbarco’ a Nomuka, di tutto ciò non sapeva assolutamente nulla, lui aveva partecipato qualche volta a dei fai kava senza Tou’a, ed una volta in un club, ad una serata in cui c’era anche la Tou’a, ma nei clubs, spesso, le ragazze sono solo pagate per la serata di lavoro. Lui, nella sua beata ignoranza, credeva che tutte fossero ragazze pagate per un lavoro e null’altro. Qualcuno gli aveva detto che i desideri della Tou’a andavano comunque rispettati, che nei fai kava può succedere qualsiasi cosa, e che, nel rispetto delle altre persone, tutto era fattibile, ed era convinto di sapere tutto.

Viaggiava, ospite del capo della polizia e della sua squadra di poliziotti e marinai assieme al magistrato itinerante, nel giro che veniva fatto una o due volte all’anno. Usavano la motovedetta veloce, sarebbero rimasti come base a Nomuka per una settimana, girando di giorno di isola in isola e rientrando poi alla base nel tardo pomeriggio per passarvi la serata e la notte.

La sera stessa del loro arrivo venne invitato, assieme agli altri ospiti importanti, dai notabili del luogo, ad un fai kava in un club, ove formarono un loro gruppo, con la loro Tou’a, e quella fu la prima volta che lui e lei si videro, lei pero’ non parlava l’inglese, per cui, il palangi, dopo averle rivolto i formali saluti di rito ed averle presentato una manciata di caramelle, come gli era stato detto di fare, la ignoro’ tutta la serata.

Lui, già quella sera fu oggetto di parecchi commenti, tutti parlavano di lui: vestiva abiti tradizionali tongani e non abiti palangi, salutava la gente nella loro lingua, vestiva, senza averne alcuna cura particolare, in modo quasi sprezzante una ta’ovala chiarissima da almeno 300 dollari (ma lui non lo sapeva, cosi’ come non sapeva un sacco di altre cose: l’aveva pagata solo 30, e quel colore cosi’ chiaro, quasi bianco, che la rendeva cosi’ preziosa era solo il risultato accidentale di un lavaggio fatto con acqua salata e cenere), oltre a ciò sedeva sulle stuoie a gambe incrociate come tutti, beveva kava e, quando gli rivolgevano la parola rispondeva come qualsiasi ospite cortese. Qualcuno aveva anche notato che lui si rivolgeva al magistrato col linguaggio dei commoner, e che il magistrato non ne sembrava affatto risentito, pero’ lui, si rivolgeva allo stesso modo anche agli slaves, i prigionieri condannati ai lavori forzati, e questo a loro sembrava ancora più strano e, forse, magari non lo apprezzavano molto, ma lui faceva cosi’ perché non sapeva che c’erano diversi modi di rivolgersi alle persone, a seconda della loro classe sociale: erano troppe le cose che lui ignorava.

Nei giorni seguenti lui suscito’ ancor di più l’interesse ed i commenti degli isolani, non si comportava come gli altri palangi che volevano solo comperare e pagare con denaro quello che loro ritenevano il giusto prezzo, no lui chiedeva e gioiva con loro di quanto gli veniva gentilmente donato, ed a volte anche lui portava dei doni. Mangiava seduto per terra a gambe incrociate, prendendo il cibo con le mani dal piatto comune, come facevano tutti gli altri, dormiva, come gli altri, usando come letto alcune stuoie spesse e morbide che gli erano state offerte ma usava anche una stranissima coperta, molto calda, che lui chiudeva, fino a farne un sacco, con una cerniera, dopo essercisi infilato dentro. Si lavava, come gli altri, nella tinozza attingendo l’acqua alla cisterna, beveva il caffè fatto con le foglie dell’arancio selvatico, a volte camminava scalzo, quando sedeva, metteva davanti a sè le sigarette come gli altri facevano con il tabacco, e, se gliene chiedevano, le condivideva, ed al loro ringraziamento rispondeva "io" (=si) come tutti: insomma uno completamente diverso dagli altri palangi che ogni tanto arrivavano con il loro yacht per rifornirsi, che camminavano sempre con la puzza sotto al naso, che guardavano disgustati i maiali pascolare e circolare tranquillamente dappertutto e la gente che mangiava seduta per terra, e che, appena finito il loro magro giro di compere, tornavano alle loro imbarcazioni e li’ passavano tutto il loro tempo.

Il lunedì il magistrato, per ricambiare la cortesia, invito’ i notabili a passare la serata in un altro club, bevendo kava e parlando un po’ di tutto, ed in tale occasione, ovviamente venne invitato anche il capo della polizia ed il suo amico palangi.

Quella fu la seconda volta in cui lei, la Tou’a del gruppo lo vide (era la stessa dell’altra volta, poiché, essendo la più anziana delle Tou’a disponibili, era la più esperta). Certo, lei non capiva l’inglese, ma capi’ benissimo la traduzione che gentilmente il magistrato faceva di ciò che lui diceva in risposta alle domande degli altri: non era sposato, aveva superato la cinquantina, girava per le isole per conoscerle e per conoscere la gente ed il loro modo di vivere, veniva dall’altro capo del mondo, e, se possibile, aveva intenzione di stabilirsi li’ e non tornare più in patria. D’altro canto lei era molto carina, forse un po’ formosetta, ma non grassa: solo molto piacevolmente in carne, e anche quella sera lui le porto’ le caramelle e le gomme, e la saluto’ in modo molto cordiale nella sua lingua, ed addirittura (come gli era stato detto di fare), quando passo’ l’incaricato per ritirare l’equivalente del nostro biglietto d’ingresso, lasciò un dollaro di mancia per la Tou’a.

Il martedì ed il mercoledì furono tenuti due fai kava nel fale che ospitava la squadra dei poliziotti ed il palangi, ma in tutte e due le serate non c’era alcuna Tou’a, ed addirittura, il mercoledì, poiché si divertivano tirarono avanti fino dopo le 3 di notte: uno di loro, Asa, era un ottimo cantante che faceva parte del trio di Holopeka, avevano inoltre invitato il miglior trio di suonatori cantanti dell’isola, ed il palangi si rivelo’ una sorpresa accompagnando i suonatori battendo con le mani nude su uno sgabello di legno, traendone dei suoni come da un piccolo tamburo. Insomma una serata memorabile.

Il venerdì mattina i visitatori sarebbero ripartiti per il loro giro e non sarebbero più tornati a Nomuka, per cui lei, la Tou’a fece la sua scelta: certo lui non era giovane, aveva passato i 50, ma neppure lei era più giovane: aveva già22 o 23 anni, ed alla sua età tutte le altre erano già sposate ed avevano già messo al mondo almeno un paio di figli. Cosi’ lei fece la sua scelta, decise che lo voleva, male che andasse, lei avrebbe avuto almeno la sua notte d’amore, e, da quello che lui aveva detto, c’era pure la possibilita’ che, in seguito, lui tornasse a Nomuka e ci si stabilisse, o che la portasse con se su qualche altra isola, cosicche c’era pure, anche se remota, la prospettiva di una relazione più lunga, se non proprio di un matrimonio.

Lei riscosse tutti i favori di cui era creditrice dagli amici e dalle amiche, e quando i poliziotti cercarono i cantanti ed una Tou’a per il fai kava della loro ultima serata, trovarono solo dei cortesi rifiuti ed il consiglio di andare ad un certo fai kava privato, ma di portare con se anche il palangi. Loro capirono, ma, come vuole la tradizione, nessuno disse nulla, ed alla sera portarono con sè il palangi, un po’ divertiti, molto scherzosi, forse anche un pochino invidiosi che fosse capitato a lui, ma comunque lieti che quella sera le cose sarebbero andate come nelle loro migliori canzoni d’amore.

Lui arrivo’, assieme a due amici, quando il fai kava era già iniziato e trovo’ la stessa Tou’a che aveva già visto due volte e questo lo sorprese un po’. Certo, era molto carina, ma non parlava l’inglese, e poi lui era interessato solo alla musica e, dopo i saluti di rito ed i primi due o tre commenti e l’offerta delle caramelle di rito, lui si limito’ a chiacchierare con gli altri ed ad ascoltare. Dopo qualche tempo la Tou’a, per dargli modo di fare la sua parte chiese che il palangi prendesse posto vicino a lei, e, se qualcuno obbietto’, lei rispose "Ofa vei Tongo", cosi’ quelli si spostarono e gli diedero il posto richiesto, ma ciò nonostante lui non le badava. Invano i cantanti lo sollecitavano cantarono le loro migliori canzoni d’amore, la serata andò avanti e lui non fece assolutamente nulla. Invano gli amici gli segnalarono, a gesti, che la ragazza lo voleva, e che lui avrebbe dovuto darsi da fare: il palangi penso’ che lo stessero prendendo in giro, addirittura la Tou’a arrivo’ a sorridergli apertamente per invitarlo (cosa del tutto vietata dalla tradizione): lui si limito’ a sorridere in risposta, ma poi continuo’ ad ignorarla.

Poi, uno del gruppo, un prigioniero che scontava la sua pena nelle piantagioni di Nomuka Iki, l’isola prigione accanto a Nomuka e che passava 3 notti alla settimana nel villaggio, fu il primo a rendersi conto di quanto accadeva: il palangi non faceva nulla semplicemente perché non sapeva che ci si aspettava qualcosa da lui, ed essendo uno slave, lui che aveva già violato la legge, poteva anche violare il tabù della tradizione, per cui anche lui cambio’ di posto, si mise accanto al palangi e cominciò a spiegargli come stavano le cose.

Pero’ il tempo passava e quando il palangi capi’ la situazione e quello che ci si aspettava da lui riguardo’ la Tou’a e la vide con occhi del tutto diversi: ora vedeva una bellissima ragazza, con immensi occhi bruni, quasi neri e molto, molto profondi, rammento’ anche quel sorriso splendente, e cominciò a parlarle. In tali situazioni non importa cosa si dice ma come lo si dice, lui pero’ era goffo, troppo goffo, fors’anche imbarazzato, e spesso non sapeva cosa dire o fare. Purtroppo pero’, oramai era tardi: la Tou’a, che aveva fatto quella scelta cosi’ dolorosa, oramai si era sentita rifiutata; lei aveva giocato la sua unica carta ed aveva perduto, il palangi era stato tanto crudele da rifiutarle anche quella sola unica notte d’amore, ma questo è il rischio che ogni Tou’a corre quando fa la sua scelta.

La serata era giunta quasi alla conclusione, il fai kava fini’, e tutti se ne andarono, anche i suonatori. Il palangi comunque torno dopo qualche minuto ma trovo’ la porta chiusa e la lampada spenta, invano busso’ e chiamo’: lei non lo voleva più e non gli apri, per cui lui aspetto’ un po’, chiamo’ busso’ e prego’ ancora un poco, ma fu tutto inutile, ed alla fine se ne torno’ lemme lemme al suo falè ed ando’ a dormire.

Il venerdì mattina dovevano imbarcarsi, portarono i loro bagagli sulla spiaggia dove una barca li avrebbe caricati e traghettati fino alla motovedetta ancorata al largo. Lui era nel primo dei due viaggi previsti, sperava di vederla per potersi in qualche modo scusare, ma non la vide: lei non c’era. Quando arrivarono alla vedetta lui tornò indietro col caronte fino alla spiaggia ed aspetto’ fino all’ultimo momento, anche se comunque non ci credeva e non ci sperava più. Furono traghettati anche quelli del secondo turno, e lui con loro, uno dei poliziotti gli disse che, al suo posto, lui sarebbe rimasto, ma il palangi trovo’ per se stesso una qualche buona scusa per non rimanere, poi la vedetta prese il mare e tutto sembro’ finire.

Il viaggio tra Nomuka e Ha’afeva duro’ un paio d’ore, lui se ne rimase da solo in disparte, forse disprezzandosi, mentre gli altri lo rimproveravano in silenzio per quanto aveva fatto, finchè uno di loro chiese a se stesso ed a tutti gli altri cosa avessero fatto loro: tutti sapevano che il palangi ignorava i loro costumi e le loro tradizioni, e nessuno di loro gli aveva detto o fatto nulla per evitare quel terribile finale, ma, anche se era vero, per il palangi ciò non fu di alcun sollievo, perché non è vero che un colpa condivisa sia più leggera: la condivisione serve solo a far sentire altrettanto in colpa anche gli altri.

Arrivarono a Ha’afeva nel primo pomeriggio, furono accolti con cibi e sorrisi, furono accompagnati fino al falè disabitato che sarebbe stata la loro base per la prossima settimana. La sera andarono, come previsto, al club locale, ma la serata era tetra, la compagnia di amici si divise, il palangi con l’amico nel gruppo delle autorità, gli altri sparsi tra gli altri gruppi. La Tou’a del gruppo delle autorità era troppo giovane, solo 16 o 17 anni, troppo inesperta e troppo spaventata nel dover servire la kava ad un simile gruppo, inoltre accanto a lei sedevano da un lato il magistrato e dall’altro il palangi, e lei tremava. Pero’ semplicemente non c’erano altre Tou’a disponibili: il capo della polizia era originario di Ha’afeva, e tutti l sua famiglia proveniva da li’, anche un ramo della famiglia del magistrato proveniva da quell’isola ed un’altra tradizione vuole che nessuno della famiglia estesa della Tou’a possa far parte del suo gruppo, e non potendo dividere i due ospiti, si doveva trovare una Tou’a priva di legami famigliari con tutti, e quella era l’unica dell’isola che rispondesse a tali caratteristiche.

Il magistrato, dopo poco tempo, accampo’ la scusa di un crampo e se ne ando’, il palangi cambio’ gruppo ma anche la Tou’a del nuovo gruppo non parlava inglese, lui la corteggio’ un poco, ma non molto convinto, le profferì in modo esagerato il suo amore come facevano gli altri, ma non era dell’umore giusto e si vedeva, oltre a ciò anche lei era piuttosto spaventata: era la prima volta che vedeva un palangi bere kava e non sapeva quale atteggiamento tenere.

Oltre a ciò nell’isola non c’erano cantanti e nessuno sapeva suonare, forse non c’erano nemmeno chitarre ed ukulele, per cui anche quel modo di ravvivare la serata risulto’ impossibile, qualcuno dei locali cerco’ di intonare un coro, ma fu una cosa penosa. Poi tutti se ne andarono a dormire scontenti.

Il sabato, presero nuovamente il mare, visitarono due splendide isole, ma lui era triste, ricordava solo due immensi occhi quasi neri e profondi (non come il mare come vuole un detto comune: perché non esiste nulla che sia altrettanto grande e profondo come questo mare); ricordava anche un breve sorriso e continuo’ a restarsene da solo ed a nascondere le lacrime sotto gli occhiali da sole. Gli altri capirono e lo lasciarono stare.

Rientrarono a meta’ pomeriggio, ed alla sera lui chiese ad uno degli amici di portarlo a qualche fai kava: sentiva solo il bisogno di ubriacarsi. Nell’isola non esistevano alcolici e se loro riuscivano ad ubriacarsi con la kava ci avrebbe provato pure lui. Trovarono un fai kava privato ove una Tou’a riceveva i suoi ospiti, lui contribuì alla serata con un pacchetto di kava, saluto’ tutti, offri’ le caramelle, si sedette in un angolo oscuro, dimentico’ gli altri e cominciò a bere. L’amico aveva chiesto che quella sera a lui venissero date delle coppette piene, loro capirono, gli trovarono una coppetta grande ed ogni volta che tocco’ a lui gliela fecero trovare bella piena, ma non fu di alcun giovamento perché a lui, quella kava non fece nessun effetto.

Ad un certo punto della serata arrivarono due ragazzi con le chitarre:

venivano da Nomuka con una nuova canzone e chiesero al palangi il permesso di cantarla, perché quella canzone parlava anche di lui. La musica era molto dolce e molto triste, e, mentre quelli cantavano, l’amico gliela tradusse, era la storia della sua Tou’a.

Tutte le loro canzoni, a prescindere di quante strofe siano composte, vengono poi suonate e cantate alla stessa maniera: prima un preludio musicale, poi circa la meta’ delle strofe una di seguito all’altra, quindi un interludio di sola musica, e poi, tutte assieme, l’altra meta’ delle strofe.

La prima strofa parlava di lei, di come fosse la Tou’a più richiesta nell’isola, dei molti corteggiatori che lei aveva respinti e della sua bellezza. La seconda parlava di lui, di come fosse capitato li’, e lo descriveva come l’Ofa vei Tongo, l’antico dio dell’amore dei tempi tribali. Poi l’interludio, quindi la terza strofa narrava quello che lei aveva fatto pur di averlo per sè, foss’anche per una sola notte, mentre la quarta parlava di cosa aveva, anzi non aveva fatto lui e della sua crudeltà.

Tutti i presenti piangevano, e più di qualcuno avrebbe volentieri dato una lezione allo stupido palangi, ma la canzone non fini’ li’: ci fu un secondo interludio e poi altre 3 strofe, una spiegava cosa avesse tentato di fare lui all’ultimo momento, senza riuscirci, l’altra parlava di come gli amici, anziché’ sostenerlo in quel frangente, in effetti l’avevano mandato allo sbaraglio senza nemmeno una spiegazione. L’ultima parlava del rischio che corre la Tou’a quando fa la sua scelta e come qualche volta, purtroppo, qualche storia finisca male.

Nessuno dei presenti disse o fece nulla allo stupido palangi: anche lui piangeva come gli altri, loro si limitarono a dargli da bere finchè ne aveva voglia, e quando lui non ne poté più, se ne andò’ a dormire infelice e insoddisfatto di sè e del mondo.

La domenica lui partecipo’ prima ad una piccola cerimonia fai kava e poi ad uno dei servizi religiosi, ed anche se si trattava di riti protestanti, mentre lui, almeno sulle carte, risultava cattolico romano, nessuno ci bado’, e lui meno degli altri.

Il pomeriggio lui stava cazzeggiando li attorno con l’anima sotto alle suole, quando, alla fine di un altro servizio religioso pomeridiano, due ragazze uscirono dalla chiesa, ed una delle due gli rivolse la parola. Lei disse che il venerdì era stata la Tou’a di un gruppo di poliziotti e li aveva sentiti fare un nome da palangi, ed ora, avendolo visto, desiderava conoscerlo. Cosi’ parlarono un poco, lei era giovane, 19 anni, più snella dell’altra e, se possibile, ancora più carina. I suoi occhi erano ancora più grandi, più profondi e ancora più neri. Portava i capelli, anziché a treccia o con uno chinon come tutte, a coda di cavallo, e poi sciolti sulle spalle, molto lunghi. Inoltre lei gli sorrise spesso, e questo un po’ lo conforto, lei inoltre gli disse che voleva essere, se possibile, la sua Tou’a, e lui promise: assicuro’ che almeno un’occasione non sarebbe mancata, e che se lei lo voleva, avrebbe potuto organizzare un fai kava in una qualsiasi serata, ovunque fosse, glielo facesse sapere e lui ci sarebbe andato molto volentieri. Poi fecero quattro passi assieme, quindi si salutarono ed ognuno se ne andò per la propria strada.

Il lunedì sera, poiché la ragazza non s’era ancora fatta viva ne aveva dato notizie di sè, lui andò’ ad un altro club, e li’ la rivide, splendida, mentre serviva la kava, per cui molto volentieri si uni’ a quel gruppo, un po’ distante, ma lei lo chiamo’, fece spostare uno che stava accanto a lei e lo volle accanto a sè, e lui, lieto, si presto’ al suo comando. Passarono un po’ di tempo, parlando di lui, di lei, di tutto e di nulla, poi, ad un certo punto, lui udì un coro cantare, ma non era il gruppo della sua Tou’a, erano i suoi amici, sparsi e divisi in gruppi diversi, che cantavano formando un unico coro. Poiché’ è tradizione che ogni gruppo canti per la propria Tou’a, normalmente quando c’è una canzone in un gruppo, gli altri parlano o bevono, poi si canta in qualche altro gruppo, li’, invece, solo alcuni cantavano, e per giunta sparsi in gruppi diversi: stavano cantando per lui e per la sua Tou’a. Lui glielo disse, e lei gli credette solo quando vide che gli altri gli scambiavano gesti di approvazione. Quando poi intonarono la canzone di Adamo ed Eva nell’Eden lei si sciolse, lui la sprono’, e tutti quelli del gruppo lo sostennero come potevano, anche se non ce n’era bisogno.

Alla fine della serata se ne andarono, assieme, in un altro falè disabitato, ove qualcuno aveva preparato su delle stuoie un morbidissimo giaciglio di tapa, c’erano anche delle coperte ricamate e dei cuscini. Appesi alle pareti ed al soffitto c’erano dei rami con fiori e foglie profumate, c’era anche una teiera col the bollente ed una lampada accesa. Per loro, quella notte, non ci furono cantanti acquattati a miagolare li attorno: non ce n’erano, i due di Numuka se n’erano già andati la notte precedente, dopo la loro esibizione, ma per la Tou’a ed il suo palangi non ci fu alcun bisogno dei cantanti.

All’alba lei se ne torno’ a casa e lui al falè che ospitava lui ed i poliziotti, ove trovo’ gli amici che lo aspettavano, gli offrirono del the e pesce crudo, mentre mangiava lo presero bonariamente in giro, e lui accetto’ lieto tutto quanto. Poi lo lasciarono dormire, e quel mattino presero il mare con un paio d’ore di ritardo sull’orario previsto.

Il martedì sera lui fu portato, quasi di peso, ad un altro fai kava, ma li’, oltre a sei o sette degli amici, c’erano solo la Tou’a, a lui sconosciuta, 2 isolani, uno giovane ed uno anziano, ed un fijano che pero’ era quello che meglio di tutti parlava l’inglese. Prima parlo’ col fijano, poi col tongano più giovane, il terzo non gli rivolse la parola, ma ascoltava ed il fijano gli traduceva quanto diceva il palangi. Alla fine della serata se ne andarono tutti, il palangi era stato in qualche modo giudicato, ma non c’era stato alcun pronunciamento, ne a favore ne contro di lui. Il mattino dopo si seppe la risposta della famiglia di lei: uno dei poliziotti invito’ il palangi a seguirlo nel bosco, gli indico’ un tipo particolare di albero e gli mostro’ quali frutti fossero da raccogliere, gli diede un sacco e lo lasciò lavorare per un paio d’ore, poi se ne tornarono a casa, quella era stata la risposta: "Vediamo come se la cava a dover lavorare con le proprie mani a dover provvedere a sè ed alla propria famiglia".

Lui la rivide solo il giovedì mattina mentre il magistrato teneva i processi, ed ebbe occasione di parlarle: neppure lui, alla fine, seppe cosa le aveva detto, quando parlo’ della differenza di età, lei disse "no matter", invece accuso’ il colpo quando lui le disse di avere, in patria, una figlia di 9 anni più vecchia di lei, ma anche a quell’affermazione lei rispose "don’t care". Alla fine la sua Tou’a chiese qualche giorno di tempo per pensarci: sarebbe andata lei da lui a Pangai e gli avrebbe dato la sua risposta, poi, se del caso, ci sarebbe stato tutto il tempo che volevano per le formalità di rito.

Quella stessa sera al club era prevista l’ultima serata. Quando lui arrivo’, tutti i gruppi, tranne quello del magistrato ed un’altro, avevano già una Tou’a, per cui lui andò in quello ove non c’erano personalità, cosicché’, quando lei fosse giunta, lei avrebbe preso lo stesso gruppo e lui avrebbe potuto continuare a parlarle ed a corteggiarla liberamente. Invece, quando lei arrivo’, andò difilata al gruppo del magistrato, e nel gruppo di lui venne un’altra Tou’a, più giovane ed ancora piuttosto inesperta, lui aveva dimenticato: lei, oramai, aveva già giocato la sua carta e quindi non era più adatta ad essere la Tou’a in un gruppo di corteggiatori, mentre era diritto, sia del gruppo che dell’altra Tou’a, che la tradizione fosse rispettata fino in fondo.

Il mattino dopo, il venerdì, lui doveva partire, spero’ di vederla sulla spiaggia e di poterla salutare, ma purtroppo lei non c’era, lui pero’ sapeva che doveva aspettarla, la settimana seguente, a Pangai. Subito prima di imbarcarsi una delle donne del villaggio gli consegno un cesto con dentro un rotolo di tapa: era quella che era stata il loro giaciglio; gli disse che era sua di diritto, e che la tradizione vuole che tutti gli eventuali rotoli di tapa accumulati nel tempo siano il dono che il marito fa alla propria sposa il giorno delle nozze, e che più sono i rotoli, più alto è il valore che il marito acquista agli occhi di lei, perché tra le tante che lo avranno voluto lei sarà stata quella che sarà riuscita ad averlo per se. Lui la ringrazio’, la baciò sulla guancia come si fa con quelli della propria famiglia estesa e lei accetto’ il bacio, poi il palangi saluto’ tutti e si imbarco’.

Oggi è sabato, ieri sera sono andato al club di Holopeka ove Asa mi aveva invitato: li ci sarebbe stato un fai kava per festeggiare il ritorno della spedizione ed avremmo dovuto essere una dozzina, ma dei nostri, eravamo soltanto in 4, tutti gli altri avevano fatto sapere di non poter partecipare perché ammalati, e le solite voci maligne hanno mormorato "home seek" o "wife seek".

Ad Holopeka c’è la tradizione del canto, ed a meta’ della serata il trio ha intonato una nuova canzone, una, hanno detto, che veniva da Numuka, poi hanno suonato e cantato la canzone della sfortunata Tou’a e del suo palangi, quella stessa che Asa aveva ricopiato dai due ragazzi a Ha’afeva e portato con sè. Ieri sera, poi, al club di Holopeka, c’erano anche un paio di cantanti di Foa, l’isola subito a nord di Lifuka, che hanno voluto una copia del testo, cosicché quella storia e quella canzone, oramai sono già su almeno 4 delle isole maggiori, probabilmente tra non più di un paio di settimane sarà su tutte le Ha’apai.

Un po’ mi sono vergognato, anche se gli altri non sapevano chi fosse il palangi della canzone, ne tantomeno se si trattasse di una storia vera o solo del testo di una canzone, o forse erano solo tanto cortesi da fingere di non saperlo. Parecchi, alla fine, piangevano, e la nostra Tou’a, cosa inimmaginabile, alla fine della canzone si è alzata e se n’è andata, per ritornare poi, dopo una decina di minuti. Asa ha annunciato che quella canzone, in futuro, verrà cantata, almeno in Holopeka, soltanto quando una Tou’a, darà l’impressione di essere in procinto di fare la propria scelta: l’ultimo monito, lasciandole cosi’ l’ultima possibilità di ritirarsi prima di compiere quello che potrebbe essere un passo disastroso, ma che comunque, quella sarà l’unica volta che quella particolare Tou’a avrà occasione di sentire quella canzone.

Io sto aspettando, un po’ impaziente, che arrivi la settimana prossima. Il primo ferry da Ha’afeva arriverà martedì mattina, poi l’altro ferry il mercoledì. C’è anche la possibilità di una barca qualsiasi perché un paio d’ore di navigazione sono sufficienti, e muovere una barchetta è meno costoso che pagare il biglietto del ferry, unico guaio è che in questo modo, la "settimana prossima" e l’attesa finira’ soltanto sabato.

Questa mattina ho spiegato ed appeso ad una parete, come un arazzo, la mia unica splendida tapa.

 

 
 
 
 

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