Scoprire Genova - Appartamento in Affitto

Il diario di Walter

 
 

Diario del viaggio e della permanenza alle Friendly Islands
© 1997 by \//.\\\ascarin, Pangai - Tonga Kingdom.


Capitolo 7 -


 

12/20 Novembre 97 - Kotu


Ero già stato a Kotu, qualche mese addietro, approfittando della cortesia di amici, unendomi al gruppo che annualmente visita le varie isole assieme al Magistrato itinerante. Avevo trovato il villaggio incantevole, e la sua gente particolarmente gentile ed michevole, ma in tale occasione stavo viaggiando al seguito di persone “importanti”, inoltre, si era trattato, come in tutte le altre isole, di una visita breve, solo qualche ora: il tempo per una visita guidata del villaggio, una piccola cerimonia di kava all’aperto all’ombra di un paio d’alberi, e di un pranzo offerto ai visitatori e poi l’addio, cordialissimo, sulla spiaggia.

Ora volevo rifare, più o meno, lo stesso viaggio, però da solo, trattenendomi in ciascuna isola, se le condizioni lo avessero permesso, per una settimana, o una decina di giorni, inoltre desideravo visitare Tofua, e per quell’isola è giocoforza usare Kotu come trampolino.
In effetti, a Kotu non conoscevo nessuno, unico aggancio di cui disponevo era Feke (Ministro della chiesa protestante “Church of Tonga”) ad Ha’afeva, per cui avevo telefonato a lui, un paio di giorni prima della partenza prevista, chiedendogli la cortesia di ospitarmi per qualche giorno, giusto il tempo di trovare una barca per Kotu e qualcuno, li’, che fosse disponibile per un accomodation, avevo però precisato che non volevo nulla di speciale: mio desiderio era di conoscere la gente e condividere il loro modo di vivere; Feke, molto gentilmente, aveva detto “Quando vuoi, tu vieni, noi saremo lieti di rivederti, quando sarai qui vedremo che si può fare”

Il 12, in giornata, ho preparato un bagaglio leggero, impacchettato e messo in magazzino tutto il resto, chiuso la casa e restituite le chiavi e sono partito. Con me, oltre ad un minimo di effetti personali, 5 pacchi di tabacco e 2 mazzi di carte (oggetti da regalo), e 2 stecche di sigarette (sia per me che da condividere), ne avrei portate di più ma ho a disposizione solo lo zainetto ed una sacca da viaggio ed esaurito lo spazio disponibile, oltre a ciò per le eventuali spese, poco meno di T$ 300, durata prevista per il viaggio 17 giorni.

Verso le 9.30 di sera Puluno mi ha scarrozzato fino al porto, nessuna formalità per l’imbarco, solo fare il biglietto. Viaggiavo, ancora una volta, con la vecchia Tau Tahi, un ferryboat a fondo piatto, costruito per fare servizio ad Hong Kong ed acquistato usato e rimesso in servizio qui alle Tonga, anche se tutt’altro che adatto a navigare in pieno oceano.

Alla partenza un sacco di gente, tutti li’ a salutare, o forse solo a spendere un po’ di tempo e prendere un po’ di fresco serale: Il tempo ottimo, dopo la calura estiva della giornata si era levata una leggera e fresca brezza, il cielo completamente sereno e la luna quasi piena promettono una traversata tranquilla ed interessante. Appena imbarcato, un paio di ragazze da terra, mi interpellano, che vogliono sapere dove vado e perché, se ho moglie o anche solo la fidanzata, ed alla mia risposta negativa ecco pronta l’offerta: “What about us?”, ma e’ un classico, in questi casi, la risposta invece non è la classica, dico che per me vanno bene.tutte e due, decidessero tra loro se l’una o l’altra, o anche tutte e due contemporaneamente, apprezzano lo scherzo e ridono, parliamo d’altro, un po’ di tutto, poi, inaspettatamente, una delle due si imbarca pure lei, all’altra dico addio per adesso e di venire ad aspettarmi sul molo al ritorno, lei promette e se ne va.
Alle 10 e qualcosa si salpa, come previsto il viaggio e tranquillo, la luna crea un effetto incantevole con gli isolotti che galleggiano qui e là sulla striscia argentata. Due ore e mezza di navigazione e si butta l’ancora al largo di Ha’afeva. Approfitto di una delle piccole barche caronte che portano gente e merci per arrivare alla spiaggia: il barcaiolo è il primo a stupirsi: un palangi che arriva, inaspettato, in quel modo! Da’ una voce e dalle altre barche arrivano richiami, un ragazzo mi punta la torcia in viso e poi conferma che si tratta di un palangi, mi chiede se preferisco la parte ovest od est (Hihifo o Ha’ake) del villaggio, dico che per me fa lo stesso e mi sbarcano a Ha’ake. Risalgo il villaggio e raggiungo la casa di Feke, tutto tace e tutti dormono, appena entro nel cortile i 3 cani cominciano ad abbaiare contro l’intruso, mi siedo ed aspetto, dopo un paio di minuti arriva Feke, si informa del viaggio, mi chiede se voglio mangiare qualcosa, ma voglio solo dormire, cosicché mi accompagna: ci sono 2 stanze a disposizione al pianterreno di casa sua, in una già dorme un giovane, prendo l’altra, ci sono un paio di stuoie, ci stendo sopra il sacco a pelo e provo a dormire, ma non c’è corrente d’aria e fa troppo caldo per stare dentro al sacco, e troppe zanzare per starne fuori, uso la cerata come cuscino, ma non va bene, dormo pochissimo e male.

Al mattino sveglia alle 6, notte balorda, arriva Feke, parliamo un poco, a tratti sembra contentissimo di vedermi, in altri momenti sembra ansioso di liberarsi della tegola che gli è capitata tra capo e collo. Dopo un po’ andiamo in giro in cerca dei barcaioli, per vedere chi e quando va a Kotu, poi nella sua piantagione a raccogliere viveri per il pranzo, mi mostra con orgoglio lattuga, pomodori e carote, tutta roba che qui ha solo lui. Poi prepara lui il pranzo per tutta la famiglia e si mangia. Nel primo pomeriggio arrivano la mia ex tou’a (della quale non avevo più saputo nulla) e Fussi (una sua amica, la vamp dell’isola), scambiamo solo poche parole, chiedono quando tornerò indietro, se ho trovato un’altra fidanzata, dico di no, aggiungo che 3 mesi fa’ ho perso quella che credevo di avere trovato (vedo accusare il colpo) e che ne sto’ cercando una nuova, più affidabile, e entrambe alzano la mano dicendo “io, io” :-). Poi sistemo il videoregistratore di Feke, si tratta solo di settare il televisore sul canale 32, ma nessuno lo sapeva, ed il video era li inutilizzato da mesi, la moglie ed i figli di Feke saltano dalla gioia, spiego cosa devono fare, se dovesse succedere nuovamente, per loro, oramai, sono l’esperto.

Poi non c’è più tempo, arriva Sione (uno che si è offerto di ospitarmi a Kotu), parla l’inglese poco e male, frattanto la marea è salita, si tratta di sigizie cosi’ si può attraversare un banco di reef che normalmente bisogna aggirare risparmiando, cosi’, un bel tratto di mare, ci imbarchiamo, viene anche Feke: poco più di un’ora e siamo a Kotu, un arrivederci veloce e la barca riparte lasciando Sione e me sulla spiaggia.

Feke mi ha preso alla lettera quando ho detto nulla di speciale: la casa di Sione è una baracca di lamiera ondulata arrugginita, situata direttamente sulla spiaggia, era (ed è ancora) un magazzino di reti da pesca, ma ha una raintank (anche se kiwi =neozelandese, le NZ sono di vetroresina, vengono importate già finite, divise in 2 mezzi gusci solo da montare; quelle finanziate dagli australiani, invece, sono dei cilindri di cemento armato, circa 3 cm di spessore, intonacati all’esterno con uno strato di malta molto granulata per aumentare la superfice radiante, la differenza è sostanziale, il cemento è comunque un po’ poroso e permette una leggera osmosi, l’umidita’ bagna la malta ed evapora, il processo mantiene fresco il cemento e l’acqua contenuta, invece il vetroresina non traspira e l’acqua, specie se la tank è al sole, si riscalda velocemente). Sione è sui 45, vive qui da solo, la moglie lo ha lasciato portandosi dietro i figli e sta’ a Pangai.
Abbiamo navigato controvento, ed anche se avevo la cerato sono mezzo fradicio, per cui mi cambio e stendo un po di roba ad asciugare (non c’è problema, tira vento e le lamiere delle pareti hanno più di qualche buco, la circolazione d’aria è assicurata), poi parliamo un poco, arriva un’altro tongano e ripeto la mia storia, cosa ci facio qui, cosa voglio, chi sono, poi un’altro e ricomincio daccapo, alla fine, però, quest’ultimo dice che quello non è posto per me’ e che ha deciso che andròa stare a casa sua, per cui tiro su i bagagli e mi sposto. Il nuovo host si chiama pure lui Sione, Sione Fine, in giro per il paese lo chiamano Fine per distinguerlo dall’altro, è molto simpatico e facciamo presto amicizia.

Appena a casa lui avvisa la moglie Sela che starò con loro per qualche tempo, lei sorride e dice ok, hanno 5 figli: la maggiore, Lesieri, 19 anni, poi un maschio (che ora non è qui, coltiva la kava a Tofua), altro maschio, Paloni 9 anni, Ema, femmina sui 7, ed ultimo High School sui 4. La casa è la classica casa tongana: l’edificio principale in legno che poggia su travetti di cemento come palafitte, tetto in lamiera ondulata per raccogliere l’acqua piovana, circa 8x6, l’interno è diviso, con una tramezza in legno, in 2 parti principali, la zona giorno che occupa una meta’ dello spazio, con 2 porte che danno allesterno, una su ciascuno dei 2 lati lunghi, la zona notte è a sua volta suddivisa in 2 stanze da letto, ognuna delle quali da’ sulla zona giorno, all’interno non ci sono porte da chiudere, solo una tenda a ciascuno degli ingressi delle camere da letto. Io dormirò in un’angolo della zona giorno, con Fine, Sela ed i figli nelle 2 stanze da letto. Il figlio maggiore, quand’e’ a casa, dorme in una capanna tradizionale separata (* 1). Ci sono poi le costruzioni esterne: la capanna tongana, appunto, ove dorme il figlio maggiore quand’e’ a casa, la cucina (una baracca in lamiera, piuttosto fatiscente), il bagno (2x2) e, piuttosto lontano, il gabinetto, entrambi in baracchini di lamiera ondulata.

Comunque sia, tra la nottata passata male ed il mare un po’ agitato mi e’ venuto mal di schiena e mal di testa, stendo il sacco a pelo, salto la cena ed a nanna. Alle 5 del mattino qualche pazzo scatenato suona le campane: nel raggio di 60 mt ci sono 4 chiese, ed in ognuna chiamano i fedeli, a suon di campane e tamburi, alle 4.30, poi, alla fine della breve funzione religiosa, alle 5 le risuonano, io non mi sono svegliato alla prima campana, ma alla seconda si, maledetti loro.  Comunque Sela e Lesieri tornano dalla chiesa, e Lesieri prepara la colazione: the’ fatto con foglie d’arancio selvatico e biscotti (gallette), poi a vedere la partita di calcio dei ragazzini (prima della scuola). Fine, in nottata, è andato a pescare con la torcia e l’arpione ed ha preso bene, verso le 10 una bella colazione a base di pesce lessato e manioca, poi giringiro per l’isola, alle 11 fa troppo caldo, e fino alle 2 o 3 non se ne riparla, tutti in branda.

Il pomeriggio nella piantagione: machete in mano e sacco in spalla, si raccoglie un mezzo sacco tra banane e manioca, al ritorno ci fermiamo sotto un mango a chicchierare con una mezza dozzina di sfaccendati come noi, chiedono di me e Fine racconta, alcuni mi fanno domande dirette, il loro inglese a volte fa pieta’ ma e comunque meglio del mio tongano :-). Ogni tanto qualcuno raccoglie il proprio sacco e se ne va’, qualcun’altro arriva, ad un certo punto arriva uno con 2 bei pescioni crudi in un piatto, stacca una grossa foglia da un’albero (bredfruit), ci mette i pesci e li posa per terra davanti a me, è il suo dono di benvenuto, ringrazio col solito malo’ e quello dice “io”, non serve altro. Poi ce ne andiamo, a casa Fine accende un fuocherello in cortile e ci arrostisce i 2 pesci, ne do’ uno a lui che prima rifiuta ma poi l’accetta: con la manioca arrostita è una goduria, sognavo da mesi pesce arrosto.

In giro si sentono parecchi uccelli cantare, a Lifuka non si sentono mai, è una serata dolce e ventilata, ci spostiamo nel prato davanti a casa, arrivano degli altri e si mettono a giocare a carte. Molti mi hanno riconosciuto dalla mia visita precedente, qui mi chiamano “Uatta”. Poi Fine tira fuori la chitarra e suona qualcosa, i figli ballano.. Cerco l’altro Sione per recuperare la roba stesa ad asciugare ma non è a casa, lo troverò domani. Da lontano si sentono i “thumb” del mortaio ove qualcuno sta pestando la kava. Poi al club a bere kava. Ad un certo punto le ragazze interrompono, si alzano e fanno una danza tradizionale, prima tutte assieme e poi ognuna fa il proprio numero, quindi riprendono a servire la kava, bellissimo!. Sono nel gruppo dei maggiorenti, non abbiamo la tou’a: qualunque delle ragzze sarebbe comunque imparentata con qualcuno e questi dovrebbe cambiare gruppo (* 2), cominciano a fioccare le domande, sono interessati al perché sono li’, a Kotu ci sono stati parecchi palangi, ma quasi tutta gente degli yachts, e mai nessuno come me che sia andato a chiedere l’opitalita tradizionale, spiego che non sono interessato alle varie cose che normalmente attirano gli altri bianchi, che a me interessano le persone, sapere come vivono, cosa pensano, vivere con loro etc., dico anche che, dopo Kotu, voglio andare a Tofua, ma che non mi interessa granche’ il vulcano, voglio conoscere la gente, sembrano molto colpiti, pian piano si sgelano, uno (sembra il rais del paese) mi presenta un vecchio, 82 anni, mi dice che è un “capo”, significa che è della famiglia diretta (non estesa) del Re, può quindi essere solo un fratello od un primo cugino, il vecchio sorride e saluta in risposta alla presentazione, si parla e si scherza, e gente simpaticissima, da noi non potrebbe mai succedere che uno straniero, arrivato ieri, venga accolto cosi’ calorosamente in un qualsiasi gruppo sociale.

Qui non c’è televisione, solo radio (a batteria) e forse 1 videoregistratore, niente osterie, birrerie, pizzereie, bar, ristoranti, cinema o altro, gli unici modi di passare la serata sono stare a casa a tampinare la moglie oppure andare a chiacchierare davanti ad una boule di kava, ed un forestiero, foss’anche uno di un’altra isola, è comunque una novita, ha delle sue storie da raccontare, e di cui poi si può parlare per giorni, o forse anche mesi.

Il mattino dopo niente campane (o forse non le ho sentite), sveglia alle 7, colazione veloce, poi, grosso avvenimento, Sione si mette a costruire la sua nuova rete da pesca, erano anni che ne parlava ed accumulava il materiale necessario. Si è piazzato sotto un mango, nel giardino della casa a fianco a quella dei Fine, mi fermo e mi siedo a guardare, una vecchia esce di casa e mi porta una sedia, rifiuto gentilmente e resto seduto per terra, sulla stuoia come gli altri, pian piano arrivano altre persone, i vecchi danno consigli, molti danno una mano, il lavoro va avanti veloce, si tratta di piombare una cima e di cucirla in doppio sul fondo della rete, poi tagliare dei pezzi di dimensione adeguate dai galleggianti delle reti oceaniche, recuperati chissa’ dove ma che chissa’ perché qui abbondano, forarli e cucirli ad una doppia cima sul lato alto, do’ una mano anch’io ad infilare i galleggianti e filare le cime, arriva altra gente a vedere il palangi che lavora :-). Verso le 9 e mezza dalle case vicine escono le donne e portano the, biscotti e cibo per tutti quanti, il lavoro si interrompe, si bivacca per una mezz’ora, poi si riprende per interrompere nuovamente verso le 11 e pisolare un paio d’ore li’ sotto il mango.

Fine è andato a pescare e rientra con una bella cordata di pesci, cosi’, spuntino del pomeriggio, ho due bei pesciazzi alla brace (qui lo chiamano papakiu, storpiando il “barbecue”), è perlomeno 1.5 kg di pesce, più la manioca, e si mangia tutto, testa e pelle compresa, si lasciano solo le spine e le ossa (ma si succhia anche il midollo delle lische grosse), quello che resta (molto poco) se lo contenderanno cani e porci (letteralmente), ma finiranno pure loro (sia i cani che i porci), prima o poi, arrostiti.

Fine, pescando, ha bagnato il tabacco, cosi’ gli regalo uno dei pacchetti portati all’uopo, ne resta molto colpito: lui non mi ha dato nulla (per lui, cibo ed alloggio non costano nulla), ma il tabacco deve essere pagato in $ sonanti. Poi, all’imbrunire, la solita partita a carte sul prato davanti a casa, giocano  a “ten”, una specie di tresette, si gioca in coppia, bisogna rispondere per seme, esiste un seme che fa da briscola che viene chiamato dal primo dopo il cartaio, prima di vedere le carte, contano le mani ed il numero di 10 presi, quando una coppia raggiunge i 20 vince, l’altra coppia esce e cede il posto a due nuovi giocatori, Fine sfoggia il pacco di tabacco nuovo di trinca (il negozio locale ha esaurito il tabacco un paio di giorni fa’), ed  chi gli chiede dove l’abbia recuperato, spiega che l’ho tirato fuori io dal cappello, come se fosse un coniglio :-), comunque concede diverse “prese” a quelli che non ne hanno più.

La gente in giro, oggi, e stata tutta molto più perta e cordiale, dopo il fai kava di ieri, la mia partecipazione al lavoro della rete ed il tabacco a Fine, tutti salutano, da vicino o da lontano, più o meno tutti mi chiedono come mi chiamo, da dove vengo, se sono sposato o no, se mi piacerebbe trovare una moglie tongana, hanno sentito le stesse domande e le risposte a qualcun altro 5 minuti prima, ma ognuno vuole avere delle risposte tutte per se. Poi, a cena: un’altro bel pesce arrosto, sarà almeno un kg, cuoca Lesieri, ha mandato il fratello nel bosco a recuperare un po’ di agrumi selvatici, stavolta, col pesce, anche il succo di limone! Da bere limonata molto zuccherata, qui consumano quantita’ spaventose di zucchero di canna, una famiglia come quella di Fine ne fa fuori un paio di kg al giorno, e’ prodotto qui alle Tonga (credo), e non costa molto.

Il giorno dopo è domenica, Sela mi chiede di che religione sono, dico cattolico ma di quelli non molto convinti, mi spiega che qui c’è una sola famiglia di cattolici, ed il prete viene una volta al mese, dico che per me non fa differenza il colore della chiesa, e che una vale l’altra, che dopotutto, il Dio ed il Gesu’ che tutti pregano, in fondo sono gli stessi per tutti, e che quindi non cambia nulla, mi guarda in modo strano, non so se sono stato blasfemo o se mi sono dimostrato molto saggio, poi, dal suo comportamento, decido che mi vede come un saggio .-9. Loro sono della Tongan Church, vado con loro alla funzione religiosa in quella chiesa, poco più di 1 ora, il ministro fa la sua predica, si cantano inni, qualcuno legge qualche passo della bibbia, non ci sono banchi: si entra scalzi e ci si siede per terra. Davanti stanno i bambini (maschi da un lato e femmine dall’altro), poi tutte le donne, ed in fondo i maschi. C’è un ragazzo che si è appisolato, uno gli si avvicina, controlla se sta dormendo o pregando, e poi gli rifila uno sberlone della madonna sul cranio, quindi ritorna al suo posto, dopo una ventina di minuti il ragazzo si appisola nuovamente, stavolta e quello seduto al suo fianco che gli da’ la sveglia nello stesso modo.

Dopo la chiesa il pranzo tradizionale, cotto nell’umu, siamo in 7, però Sela e Lesieri hanno preparato almeno una ventina di pasti, certo, serviranno anche per cena, ma sono comunque troppi, presto spiegato l’arcano: Ema e Paloni vengono spediti di qui e di la’ con i pasti in sovrappiù, e ritornano con altrettanti pacchi, però sono pacchi diversi: è consuetudine scambiarsi il cibo, arrivano ragazzi di altre famiglie con pacchi di cibo che vengono scambiati, magari con quelli ricevuti 2 minuti prima, a volte ci si informa sul contenuto (loro hanno fatto una base di pesce, altri maiale, chi gallina, chi corned beef), ogni pacco arriva accompagnato da brevi parole. Poi cominciano ad arrivare pacchi che non vengono scambiati, anche le parole di accompagnamento sono diverse, Fine mi spiega che sono per me, e che, anche se non ce n’e’ bisogno, in quel modo chi manda il cibo, dimostra di essere lieto di ospitarmi e di partecipare in quel modo al mio mantenimento. Dico che non posso consumare tutta quella roba, saranno almeno 15 pacchi, Sela mi chiede che voglio farne, dico di darlo a qualcuno, per cui lei trattiene quanto servirà per cena, poi manda i ragazzini, con il sovrappiù, ad alcune famiglie che non se la passano molto bene, i ragazzi hanno istruzione di dire che quel cibo è “ofa (=amore), mandato dal palangi”, al loro rientro i 2 ragazzini ripetono, parola per parola, i discorsi di ringraziamento dei destinatari, Fine traduce, sono commosso, mi viene il magone, poi si mangia.

Nel pomeriggio arriva Feke, è un po’ il capo dei preti Tongan Church qui attorno (e’ l’unico che abbia studiato teologia, si è laureato alla University of Pacific, alle Fiji), cosi’ vado in chiesa anhe il pomeriggio, ma dopo una mezz’ora mi scazzo e me ne vado. Più tardi, finita la funzione, assieme agli altri accompagno Feke all’imbarco, Sela mi da’ un grosso pesce avvolto in un cestello di foglie di cocco, già cotto nell’umu e mi dice di darlo a Feke per sua moglie, gli vado inontro e glielo consegno, quando comincia a ringraziare lo interrompo, “no, non è per te per il viaggio, tu mangi troppo: è per tua moglie (Feke è piccolino, ed assolutamente non grasso, nemmeno per i nostri parametri, la moglie, invece, stazza almeno 3 volte il suo peso), ridono tutti, lui ringrazia nuovamente e si imbarca. Resto sulla spiaggia a chiacchierare con Fine. Dopo un po’ arriva una donna sui 50, vestita in modo tradizionale e tutta tirata a festa, dice due o tre parole a Fine e mi indica col dito, lui resta boccheggiante, non sa nemmeno lui che dire, poi si limita a tradurre letteralmente e riferisce “Ha detto: <Voglio sposare quest’uomo>”. Non so come cavarmene fuori, cincischio ed obbietto, quella capisce che è un “no” e se ne va tutta triste, Fine dice che è vedova, 50 anni, si chiama Ana, poi aggiunge che se per caso dovessi ripensarci.. e sghignazza lla grande. Dopo cena fai kava a casa di quello che mi era sembrato il “rais” locale, Tisileli Finau, ministro della Wesleyan Church di Kotu (ed ecco spiegato il suo modo di fare da dominus), è abbastanza giovane, poco più di 40 anni, tiene un fai kava casa sua quasi tutte le sere, ospiti fissi i 5 o 6 maggiorenti del villaggio, nente tou’a, stasera si parla quasi esclusivamente di me. La schiena comincia a darmi qualche fastidio, cosi’ a nanna mezzanotte.

Il mattino, dopo colazione, Fine mi porta in giro per l’isola, raccogliamo noci di cocco nel bosco libero e ne fcciamo dei piccoli mucchi, passera lui, più tardi, con una carriola presa a prestito, a raccoglierle, approfittiamo dell’occasione per un giro turistio. Loro chiamano Kotu “Sisi motu” (=Isola piccola piccola), ha la forma di una salsiccia, lunga forse 2 km e larga 400/500 mt, si stende in direzione nord/sud, il villaggio è sulla costa est, tutto attorno immensi banchi di reef, in alcuni punti il reef si estende per quasi un km, qui, però, il reef non è mai scoperto, anche con le più basse maree è sempre coperto dall’acqua, è, nello stesso tempo, la ricchezza e la maledizione dell’isola: ricchezza perché c’è abbondanza di pesce, conchiglie, molluschi, ostriche, eragoste, maledizione perché rende difficile l’attracco, ci sono solo 2 passe, una a nord ed una a sud, inoltre non sono passe diritte ma bisogna seguire un percorso quasi a labirinto, quasi sempre sulle barche sono in due: uno in prua, in piedi, indica con le braccia la direzione, l’altro, al timone esegue.
Per attraccare sulla costa ovest bisogna aspettare un’onda grossa e saltare le barriere di reef, lo fanno con le popao (canoe a bilancere), qualche rara volta, proprio quando non possono farne a meno, lo fanno anche con le barche a fuoribordo. Ho provato, assieme ad un ragazzo, a saltare il reef con la popao (portava lui la barca), e’ emozionante ed al tempo stesso spaventoso: ti avvicini pian piano ai frangenti che si abbattono sulla barriera, poi, quando arriva l’onda giusta si avanza a tutta forza, sei in mezzo alla spuma, non vedi nulla, solo spruzzi d’acqua alti 2 o 3 mt, il mare ruggisce e ribolle sulla scogliera, la popao vola e sei dall’altra parte nell’acqua calma della laguna.
L’isola è divisa in 2 parti, più o meno eguali in dimensioni, la parte nord è bassa, appena 2 o 3 mt sul mare, li’, sulla costa est, dietro una barriera di alberi frangivento  c’è il villaggio che però occupa solo una minima parte del territorio, a Kotu ci sono (forse) 130 abitanti, il resto è lasciato a bosco selvatico. La parte sud è più alta, posa su una zoccolo roccioso di una quindicina di mt, piatto, li’ ci sono le piantagioni. Con la bassan marea è possibile fare a piedi il periplo dell’isola, ci si impiega circa un’ora.  Bellissimo un paesaggio quasi lunare di rocce coralline, nere, nella parte a sudovest. Dalla costa est si possono contare 16 isole (ed una trentina di isolotti, poco più che scogli) solo due delle isole vicine sono abitate: Matuku e Tungua. Altre 5 isole disabitate a sud, ad ovest solo l’oceano per 800 km fino alle Fiji, a nord i due vulcani, Tofua e Kao.

Fine mi fa vedere dove, secondo la tradizione orale, era ancorata la papa vakatahi (=la barca grande con i pali) del capitano Bligh, ma lui non ci crede troppo, il luogo indicato ha si’ acqua profonda (ora è un ottimo posto per la pesca con l’arpione) ma è completamente circondato da banchi e barriere di reef che una nave di quel tipo non può certamente saltare. Dice però che il reef è vivo e cresce, quindi è anche possibile che, all’epoca, ci fosse una passe aperta.  Mi chiede se conosco la storia del cap. Bligh, gli dico di si, risponde “bene, dovrai raccontarcela, perché a noi, di quella storia e’ rimasto solo quel nome, non sappiamo altro”. Diversi iibri riportano che la popolazione di Kotu ha una buona parte di sangue europeo, dono dell’equipaggio del Bounty, ma ora sicuramente non è cosi’: quasi tutta la popolazione originaria di Kotu è emigrata, e le famiglie che ci vivono ora sono quasi tutte originarie di Tofua. Ho visto un solo caso di tratti non polinesiani, ne parlerò in seguito.

Poi comincia a fare caldo e rientriamo per mangiare e dormire. Verso l’una arriva un ragazzino, mi sveglia, qui sono spariti tutti, il ragazzino mi fa capire che Fine mi cerca e che devo seguirlo, mi porta alla hall del club. Li su una striscia di stuoie, una lunga fila di giovani, forse una trentina, tutti i giovani del paese, maschi e femmine alternati, agghindati con i costumi tradizionali ed i gonnellini di paglia colorata, le ragazze con i ciuffi di piume bianche, rosse e azzurre infilate nella crocchia dei capelli, attorno al collo collane di fiori o di fronde odorose, stanno tutti seduti a gambe incrociate, in una lunga fila, ai due capi la fila si piega a formare una U, e sulle due ali i ragazzini della GPS (=Government Primary School, l’equivalente delle nostre elementari), anche loro tutti fioriti e colorati. Se ne stanno li’ tutti zitti, fermi, aspettano.. a fianco della porta un gruppo di suonatori: 4 chitarre, un ukulele ed una specie di mandolino, Fine col banjo, loro sono vestiti in modo più informale, ma tutti hanno dei fiori al collo.

Dall’altro lato della porta una boule di kava, serve un ragazzo, c’è solo Tisileli, quindi nessuno ha ancora bevuto una goccia (bisogna essere almeno in due), mi invita a sedere e bere un po’ di kava con lui, una donna mi porta una collana di fiori e me la mette attorno al collo, mi siedo e beviamo una tazza, poi i suonatori cominciano una musica scatenata, il banjo da’ un ritmo incredibile, i ragazzi seduti cominciano a ballare un lakalaka, è una danza che si fa’ stando seduti, si batte il tempo con un piede e si danza con la parte alta del corpo, le braccia, le mani e la testa, tutti sincronizzati, sono bravissimi, danzano cosi’ per un paio di minuti, poi, sempre danzando, cominciano a cantare, io e Tisileli beviamo ancora un po’ di kava e ci godiamo lo spettacolo, anche la canzone è bellissima, le prime parole sono “Malo ‘e lelei” che significa contemporaneamente Buongiorno, Salve, Benvenuto. In effetti è il numero che presenteranno per il festival di Natale, però da quando sono arrivato, anziché provare ed esercitarsi nella hall, come facevano prima, si sono esercitati in qualche radura nel bosco, lontano dal paese, finché non hanno raggiunto un livello di bravura accettabile, ora, quel lakalaka e quella canzone, non sono più una esercitazione: è il loro benvenuto per me! Sono profondamente commosso. L’intera danza e la canzone durano quasi 13 minuti (in seguito li ho cronometrati), e non ci sono pezzi ripetuti, è bellissimo, vorrei avere una telecamera ed un registratore e non ho con me nemmeno la macchina fotografica.

Dopo quel lakalaka il gruppo continua all’esterno, sul prato (ora non è più per me), si esercitano in un numero di marcia ed in una pantomima con delle bandiere. Tisileli mi spiega che, argomento del festival di Natale di quest’anno è “melino” (=pace), verranno gruppi da tutte le Ha’apai (Lifuka ed il suo gruppo escluse, loro hanno il loro festival in giugno), danze, canti, lakalaka, drahma, gare di corsa con le barche, giochi, e feste varie e buoni cibi, ogni isola presenta uno o più numeri, è una competizione, e per ogni tipo di numero ci sarà un vincitore, l’intero festival durerà 3 giorni. Poi Tisileli va a dirigere le esercitazioni, lui è un po’ il regista e coreografo, è anche l’autore della musica che hanno cantato per me, il testo è di un maestro GPS di Nuku’alofa, suo amico.
Resto seduto sotto un mango con Fine a guardare lo show, il numero di marcia fa’ pieta’, quello con le bandiere va un po’ meglio. Arriva una frotta di ragazzini tutti attorno a me, oramai mi hanno adottato. Ho saltato il pranzo e lo sanno, una donna mi porta del pesce fritto, yam e manioca, un ragazzo una papaia e del cocco grattuggiato, un’altro un piccolo cesto di manghi, divido il pasto con Fine, mangiamo li’, seduti sul prato, quando qualcuno si avvicina lo invito a mangiare con noi, qualcuno accetta e spizzica qualcosa, altri rifiutano gentilmente, vanno e vengono. I ragazzini prendono in giro il gruppo che marcia, a volte c’è da ridere. Fine mi dice che domani dovrebbe esserci una barca per Tofua, se il mare è OK parto domani. La schiena mi ha dato problemi ed ogni volta che mi alzo da seduto sono dolori, e si vede. Nel pomeriggio Tisileli mi chiamerà a casa sua e mi farà un vigoroso massaggio lombare, poi andrà molto meglio.

Poco prima di cena arriva una ragazza: Sela, 22 anni, si ferma li’ in cucina a chiacchierare un po, poi si fa avanti, vuole sapere qualcosa di più di me, e cosa ne penso di lei, è interessante, molto: è una del gruppo di danza, ed è forse la più viva, vispa e spiritosa (Lesieri, poi, dirà che Sela è molto funny), lei e la madre gestiscono uno dei 2 negozi dell’isola, dico che lei è perfetta, però forse sono io che sono troppo vecchio, dice di no, che va bene cosi’, si chiacchiera ancora un poco, poi se ne va..

A cena Lesieri si scusa: Fine oggi non è andato a pescare e c’è solo della manioca, sembra imbarazzata, dico che non c’è niente di male, e che va benissimo cosi’, credo di essere stato convincente perché si rasserena e mangiamo: manioca ed un intingolo di crema di cocco, cipolla tritata  e peperoncino piccante, una squisitezza.

Dopo cena arriva un’altra ragazza, vestita a festa, 20 anni, corpo pesante, forse carina per un tongano ma non per me, resta li a parlare con Lesieri ed ha cura di farsi osservare bene, più tardi Lesieri mi chiederà cosa ne penso, dirà che la ragzza è sua amica ma non se la sentiva di chiedermelo direttamente, sa’ di non essere molto carina ed interessante, però ha voluto provare lo stesso. Tutto il pomeriggio, qui davanti, c’è stato un continuo viavai di madri con figlie tirate a lucido: ero seduto sul prato, vicino agli immancabili giocatori di carte, e ne saranno passate almeno una dozzina, su e giù, più volte, gli uomini seduti attorno ai giocatori un po le prendevano in giro, un po’ commentavano, però tutti molto attenti alle mie reazioni :-). è passata, due o tre volte, anche Ana, la vedova, sono stato molto attento a non tradire la minima reazione.
Più tardi, con Fine, a bere kava da Tisileli, Fine dice agli altri che conosco l’intera storia del cap. Bligh, cosi’ mi chiedono di raccontarla. Spiego l’intera storia, dai tentativi falliti di passare l’Horn fino al tragico epilogo di Pitcairn, chiedono perché gli inglesi volessero il bredfruit e spiego che all’epoca avevano piantagioni di canna ai Caraibi e necessitavano di cibi a basso costo per gli schiavi che le coltivavano, questo lo capiscono benissimo e ghignano, poi chiedono come mai una nave della marina e non una commerciale. dico che non lo so, ma che è mia opinione che fosse perché intanto la ciurma poteva essere meglio controllata in un viaggio cosi’ lungo (anche se poi quel controllo è miseramente fallito fino ad arrivare al più famoso ammutinamento della storia), ed inoltre che una nave della flotta, pesantemente armata di cannoni, poteva essere molto più convincente di una nave mercantile, per ottenere quanto volevano, gli ascoltatori approvano e ridono.

Qualcuno aggiunge che ci son molti palangi in giro, e che sono quasi tutti brava gente, qualcuno di quelli degli yachts forse un po’ stupido ma brava gente lo stesso, però gli inglesi in particolare, non sono molto cambiati, da quell’epoca, non so che dire e quindi sto zitto, continuiamo a bere kava. Tra i problemi di linguaggio da superare con spiegazioni, le ripetizioni, la traduzione una frase alla volta, domande e spiegazioni e tutto il resto, per raccontare la storia ci ho impiegato quasi due ore, ma sono state piacevoli, io a raccontare, ogni tanto un giro di kava, commenti vari da parte di tutti. Poi il vecchio capo interviene, conferma che il posto del papa vakatahi è quello giusto, che quando suo padre ha portato la famiglia a Kotu (quindi è un cugino, non un fratello del Re), lui era ancora un ragazzo, su quel reef c’era ancora una passe aperta.

Tiriamo l’una di notte, poi, tornando a casa Fine ad un certo punto scantona e dice che andiamo a bere kava (come se fino a quel momento avessimo fatto chissa’ cosa), andiamo  casa di una ragazza, è il suo primo fai kava in casa, conosco di vista quasi tutti i presenti, i due assistenti sono troppo giovani per lei, gli altri, a quanto ne so, sono tutti sposati. Per prudenza chiedo a Fine se quel fai kava è per me, lui dice di no, poi ghigna, aggiunge che forse è anche per me, ma principalmente per un’altro, e me lo indica, è uno sui 25/30 anni, viene da Fotuha’a, è arrivato nel tardo pomeriggio, ha chiesto a qualcuno di ospitarlo e di dire in giro che sta cercando moglie, questa è la prima ragazza a tenere il fai kava per conoscerlo e farsi conoscere, finiamo alle tre di notte, lui non chiede di restare (* 3) (* 4), e noi ce ne andiamo finalmente a dormire.

Il mattino dopo Fine mi dice che non parto più per Tofua oggi: la barca c’è, il mare è buono, ma lui si diverte ed ha voglia di vedermi li’ attorno ancora per qualche giorno, ci sarà qualche altra barca, forse mercoledì, forse giovedì, fa’ piacere pure a me, quindi dico “io”. Sono le 7 del mattino ed andiamo sotto i soliti manghi, sulla piazza (=prato) del paese, c’è parecchio movimento, i ragazzi del numero di marcia sono li’ schierati, e c’è uno con piglio militaresco che li addestra. Chiedo chi sia, e Fine mi dice che è un militare, sergente istruttore dell’esercito a Nuku’alofa, ha la famiglia li’ a Kotu. Tisileli ha chiesto all’esercito di mandargli qualcuno che fosse in grado di fare istruzione di marcia ai ragazzi, e quelli l’hanno mandato a casa in licenza per 15 gg.

Il sergente, nel suo mestiere, è bravo, deve cominciare da sottozero, hanno superato bene l’attenti e riposo, ma già al “left right” del passo di marcia veloce qualcuno sembra non sapere quale sia il piede destro e quale il sinistro, nella marcia lenta addirittura qualcuno inciampa sui propri piedi e cade. Faranno istruzione tre volte al giorno, un’ora al mattino alle 7, un’altra verso l’una del pomeriggio, sotto il solleone, ed una all’imbrunire, dopocena, Non li rampogna mai, niente urla ed epiteti, si limita spiegare cosa vuole, da’ l’esempio, li corregge uno ad uno quando sbagliano, ed approva spesso, li loda ad ogni minimo miglioramento, e quelli imparano molto alla svelta, già dopo la prima mezz’ora il plotone marcia compatto, tutti con lo stesso passo e lo stesso ritmo, maschi e femmine. La maggior fatica l’ha fatta con le ragazze: sono una quindicina, tra i 17 ed i 22/23 +o-, e tutte tendono a marciare spingendo avanti busto e pancia e tirando indietro il culo, sembrano delle papere, lui invece le vuole diritte, e non è facile.

Dopo l’istruzione militare vado un po’ in giro da solo per il bosco, al ritorno sento cantare i ragazzini della GPS e vado a vedere che succede: il maestro segna il ritmo su un tamburo, e quelli cantano in coro, a turno, due o tre escono e ballano. Io sono fuori dalla scuola ed osservo, con altra gente, da una finestra, poi i ragazzini si accorgono che ci sono anch’io e cominciano a distrarsi ed a sbagliare, il maestro ferma tutto e mi prega di entrare e di mettermi in fondo, vicino a lui, cosa che sono lieto di fare, poi ricominciano, ed anche se solo ragazzini di 6/7 anni, sono bravissimi.

Il pomeriggio Fine dice che va a pescare con le reti e le popao, voglio andarci pure io, lui parla col capopesca che mi accetta, però cosi’ siamo dispari quindi devono trovare anche un’altro. Partiamo con 4 popao, siamo in 8, 2 per ogni barca, sono con un vecchio, lo suocero del capopesca (il capopesca è quello che ha deciso di andare a pescare ed ha cercato i vari compagni), andiamo a nord, dopo la prima barriera di reef. Il sistema è semplice, si cerca un qualche canale tra i banchi di reef, si stendono le reti ad un capo del canale per formare una sacca, poi le popao si allontanano di un centinaio di metri, allargate in semicerchio davanti alla bocca della sacca, resta uno solo su ogni barca, gli altri vanno in acqua con maschera e pinne, poi viene dato il via e si parte, il più veloce possibile, ad ogni pagaiata si batte, col remo, contro la fiancata della popao per fare rumore, quando si è in 2 uno pagaia e l’altro batte contro le fiancate, i nuotatori in acqua filano e fanno il maggior casino possibile, poi si arriva davanti alla bocca della sacca e ci si ferma, i nuotatori seguono i due fronti del reef ed arpionano i pesci che sono andati a nascondersi tra le rocce, poi tolgono dalla rete quelli che, fuggendo, sono andati ad impigliarsi. Quindi ci si allontana nuovamente e si fa una seconda corsa che frutta un po’ di meno. Una breve pausa di riposo per i nuotatori, poi si spostano le reti da qualche altra parte e si ricomincia, finché non si stima di aver pescato abbastanza. E diritto dei nuotatori mangiare crudo, sul posto (se ne sentono la necessita’) il fegato (credo) dei pesci pescati.

Ho fatto la prima corsa col vecchio, poi mi ha dato la popao e lui è andato a correre con un’altra, non è affatto semplice come sembra, andare diritti, il fondo non è dritto, ma curvo e fa virare da una parte, il bilancere in acqua fa resistenza e tira dall’altra, a seconda di come si sposta leggermente il peso del corpo il bilancere affonda di più o di meno e la popao va di qua’, di la’ o dritta. è bellissimo quando si riesce a prendere un pelo di velocita e si riesce a cavalcare l’onda, non occorre più pagaiare, la barca continua a scendere lungo il fianco dell’onda mentre l’onda stessa ti si ingrossa sotto dandoti altra acqua da scendere, è una continua discesa, bisogna solo stare attenti di mantenere la direzione e non correre troppo, per evitare di trovarsi troppo avanti, nel cavo dell’onda.
Sono partito con un pacchetto di sigarette nuovo di trinca, ma su 8 persone, 7 siamo fumatori, in 3 soste il pacchetto e quasi vuoto (i pacchetti sono da 25). Dopo poco più di 2 ore (la maggior parte spese a spostarsi da un sito all’altro) il capopesca decide che è abbastanza e si rientra, si issano le popao sulla spiaggia, oltre la linea dell’alta marea, si ripuliscono e si ripiegano le reti, poi tutto il pescato viene ammucchiato ed il capopesca fa le parti: prima divide i pesci per tipo e dimensione, poi suddivide i 3 o 4 mucchi in tanti mucchietti quanti sono i pescatori, quindi assegna ciascun mucchio ad uno dei pescatori chiamandolo per nome ed indicando il mucchio, il chiamato approva con un “io”, mi aspettavo di essere l’ultimo ad essere chiamato, invece ero il penultimo ed ho approvato la spartizione come gli altri. Poi ciascuno raccoglie il proprio pesce e fa la cordata con una liana sottile infilata branchie/bocca, saranno 5/6 kg a testa, ho aspettato che Fine avesse quasi finito di raccogliere il proprio, poi gli ho detto di dividere il mio mucchio, lui ha fatto un sorrisone, poi ha messo da parte, vicino all’unica aragosta (me l’avevano già assegnata per il papakiu), 2 bei pescioni ed ha diviso il resto buttando i pesci un po qui ed un po’ la’ nei vari mucchi, gli altri hanno accettato con un io. Mi ha dato i 2 pescioni e l’aragosta da portare (lui porta la cordata grossa), ha detto che sono per il papakiu, e che nessuno, mai, torna dalla pesca a mani vuote, poi una sciacquata in mare al pesce e tutti a casa, attraverso il bosco, ogni tanto, alle varie deviazioni ed incroci dei sentieri, qualcuno saluta, si sfila e sparisce in un’altra direzione.

Quando restiamo soli, Fine mi dice che comunque vada, il risultato della pesca viene sempre diviso in parti eguali tra tutti i partecipanti, a prescindere da cosa abbiano fatto, e che se qualcuno si dimostra troppo spesso pigro, in seguito verrà chiamato a pescare solo da gente più pigra di lui. Mi spiega anche che sono stato chiamato penultimo, anziché ultimo, come mi aspettavo, perché Numa (il capopesca) ha stimato più utili ai fini del risultato finale i 3 giri di sigarette, che hanno dato un momento di respiro e di riposo a tutti, rispetto al lavoro effettivamente svolto dal vecchio suocero.  Poi ha approvato il fatto che gli abbia detto di dividere, oramai quel pesce era mio e potevo farne cio’ che volevo. Spiega che ha diviso in 8 parti, e non 7, per lasciare qualche pesce anche a me: il capopesca comunque non l’avrebbe permesso, sarebbe stato suo disonore se uno degli uomini usciti con lui fosse tornato a casa senza pesce, piuttosto avrebbe rifiutato la mia divisione.

A cena aragosta, pesce e manioca, tutto regolarmente arrostito alla brace, mentre tornavamo, avevo raccolto nel bosco una mezza berrettata di limoni, qualcuno è passato nel pomeriggio ed ha lasciato degli ofa per il palangi: 4 ananas ed una ventina di grosse banane gialle, belle mature e dolci, una goduria. Qui a Kotu ci sono un sacco di manghi, ed i frutti maturano proprio in questo periodo, ma quest’anno c’è stata troppa pioggia e piuttosto che frutti le piante hanno messo su nuovi rami a legno, peccato.

Parlo un po’ con Sela, la moglie di Fine, dice che Lesieri è triste, già non è che sia bellissima, poi si aggiunge il fatto che i Fine sono in qualche modo legati con quasi tutte le altre famigle di Kotu, di Tungua, Matuku e di Ha’afeva, Fine stesso, per trovare Sela è andato a cercarla a Nomuka (addirittura un altro arcipelago) e che gli unici due maschi in eta’ giusta, che teoricamente sarebbero disponibili a Kotu, hanno entrambi la fidanzata. La situazione, nelle isole, è abbastanza pesante, con il discorso delle famigle estese, sono pochi i legami possibili sull’isola, i maschi vanno a cercare la moglie nelle altre isole, ma le ragazze devono aspettare che arrivi qualcuno a prendersele. Qualche volta i giovani si conoscono e creano le basi per un futuro matrimonio durante i festivals annuali, ma tali casi sono troppo pochi. Inoltre, nelle isole maggiori (Nomuka, Ha’afeva), le ragazze si sposano giovani, 18, 19 anni, alcune anche prima, non sono affatto rari i matrimoni di una ragazza di 15 (Amelia, la figlia 15enne di Luce, ad Ha’afeva, si è sposata 2 mesi fa), nelle isole minori, invece le cose vanno diversamente e la ragazze, spesso devono aspettare i 21, 22, o anche di più, e comunque le ragazze hanno poca scelta, devono accontentarsi di quelli che arrivano, quando arrivano, comunque siano, oppure sperare bene per il futuro ed aspettare ancora (* 5). Anche stasera kava da Tisileli.

Il mattino dopo approfitto della bassa marea e faccio da solo il giro dell’isola sulla spiaggia, qualche fotografia, il resto della mattinata in giro fancazzando. Ana (la vedova) mi punta ma riesco a svignarmela, cerco Sela (la ragazza) per continuare il discorso interrotto qualche sera fa’ in cucina, ma non riesco a trovarla, peccato. A pranzo pesce e yam, ma fa un caldo boia, c’è una leggera brezza, cosi’ vado sulla spiaggia e mi faccio una meravigliosa dormita sotto gli aberi. Dopo, la schiena va molto meglio, quando torno al villagio 5 donne che stanno intrecciando una stuoia immensa (saranno già 10 x 15 mt e vanno avanti ncora) mi chiamano, vogliono una fotografia e gliela faccio, una di loro è Ana, le altre ci scherzano su, dicono che è innamorata, arrivano altri sfaccendati mentre le donne lavorano, si parla e si scherza, Fine e le donne mi consigliano di appartarmi con Ana, di farle una fotografia da sola e di farmi dare i 2$ in natura, dicono che cosi’ sono 2 fotografie in una :-).

Oramai imbrunisce, sono sotto ai manghi a perdere tempo, con me ci sono Fine ed il maestro della GPS, arriva uno accompagnato da una ragazza, conosco già tutti e due. Lui è insolitamente molto formale, veste addirittura la ta’ovala, salutano e lui chiede di sedersi (nessuno lo chiede, mai), poi aspetta un cenno di consenso per farlo, la ragazza, abbastanza carina, alta, diversamente da tutte le altre che sono brune, è castano chiara, quasi bionda ha occhi azzurri, un po’ acquosi) si siede esattamente di fronte a me, ad un paio di metri e mi guarda, Fine ed il maestro si spostano leggermente da una parte, poi il nuovo arrivato dice che è venuto per una questione di famiglia: la ragazza è figlia di suo fratello, ed è andata da lui per vedere se era possibile combinare un matrimonio. Dice che ha 21 anni, è seria, ha fatto le High School a Nuku’alofa e che parla bene l’inglese, prima di venire da me lui ha sentito i genitori, che ufficiosamente hanno già dato l’OK, la famiglia non è ricca, ma nemmeno povera, ma è grande e comprende sia pescatori che planters, sia li a Kotu che in altre isole, ed anche diversi che lavorano per denaro a Nuku’alofa, e che tutti possono aiutare; dice che la ragazza preferirebbe continuare a vivere a Kotu, ma questa è cosa che comunque non spetta a lei decidere, deciderà suo marito, quando sarà il momento. Aggiunge poi che domani partirò, e che non vuole nessuna risposta adesso, e nemmeno quando tornerò da Tofua, vuole solo che ci pensi su’.

Fine interrompe, dice che gli piacerebbe se andassi a passare il Natale da loro, c’è sua sorella che viene dalla NZ ed arriva in aereo a Pangai, il 23 ci sarà una barca li’ apposta per lei, potrei unirmi e venire con quella, poi, per il ritorno, si vedrà, magari forse dopo capodanno. Dico che non lo so, che mi piacerebbe, ma proprio ancora non lo so, deciderò più avanti, dopo essere tornato a Pangai.

Lo zio riprende, dice che una risposta per Natale potrebbe anche andare bene, ma per queste cose è meglio pensarci bene ed a lungo, bisogna essere sicuri e non si può sbagliare, e, anche se sarebbe bellissimo un accordo di matrimonio per Natale, forse è meglio più avanti, non c’è fretta, sua nipote nel frattempo aspetterà, lei ha fatto la richiesta e quindi è impegnata finché non farò sapere qualcosa, ed io, finche non avrò deciso, devo considerarmi privo di alcun impegno. Interviene anche il maestro, dice che lui, li a Kotu, ha una casa che non usa, è molto ben costruita, se mi serve, sia se vengo per Natale, sia in seguito, posso prendermela ed andare ad abitarci. Poi parliamo ancora un poco di tutt’altre cose, capisco che il colloquio è finito, la ragazza mi fa un sorrisone da luna piena, sul cui significato non è possibile equivocare, poi entrambi si alzano, lui mi ripete di pensarci e di fargli sapere qualcosa, dico che lo farò sicuramente, ringrazio sia lui che la ragazza, poi anche il maestro e Fine, quindi ci salutiamo ed i due se ne vanno.

La ragazza, in tutto questo frangente è rimasta li’ di fronte a me a guardarmi (probabilmente cercando di carpire e capire qualcosa dalle mie reazioni), ha parlato solo 3 volte: ha salutato quando sono arrivati, confermato con “yes” quando lo zio ha detto che parla inglese e salutato andandosene (però andandosene sorrideva, sembrava contenta).

Fine, più tardi, quando saremo soli mi dirà che la richiesta è stata presentata secondo la tradizione in modo formale e corretto, che è stato molto generoso (e non usuale) tenere la ragazza impegnata senza chiedere un impegno reciproco da parte mia, per un tempo cosi’ lungo, spiega che in questo modo io posso continuare a guardarmi attorno, mentre lei deve aspettare la mia decisione e basta. Unica cosa che mi è richiesta, è che se nel frattempo io decidessi di sposare qualche altra ragazza, sono tenuto a dire di no a questa per liberarla dall’impegno, il momento giusto per farlo (se del caso) non sarà quando io volessi chiedere un’altra ragazza, ma dopo che la famiglia dell’altra avrà dato il consenso. Dirà anche che si tratta di un’ottima famiglia, e per quanto ne sa lui (e lui ne sa parecchio sulle faccende dell’isola), la ragazza non ha mai dato adito a chiacchiere, e che ora sta a me pensarci e decidere, ma di farlo con calma. Mentre fino ad ora, praticamente tutti mi hanno preso in giro (e continueranno a farlo, sia qui che a Tofua e più tardi ad Ha’afeva) per Ana (la vedova), parlando di lei come della mia fidanzata, riguardo questa ragazza nessuno farà mai alcun accenno a parole scherzose, questa è una cosa seria, sulla quale non si scherza mai.
Rientriamo a casa, sotto un albero Sela e Lesieri lavorano ad una loro stuoia, è leggerissima e molto decorata, un lavoro eccezzionale, ci hanno lavorato su’, tutte e due, per almeno 3 settimane, ora stanno ultimando le decorazioni, poi sarà finita. Fine mi dice che è rientrata una barca da Tofua, “machine broken”, però la stanno riparando, quindi domani mattina si parte.

Stasera è l’ultima serata, sospetto che mi stiano preparando qualche sorpresa, per cui, dopo cena mi cambio e metto tupenu e ta’ovala: uniforme da parata! Fine mi chiede perché, e gli dico che mi sembra giusto cosi’, lui annuisce, ci pensa su un po’ poi dice che per lui i pantaloni vanno bene. Quando arriviamo alla piazza del paese (si fa per dire, è un prato) è già buio ma c’è movimento, hanno piantata 4 pali e ci hanno messo dei tubi al neon per illuminare la zona, ma il generatore non è stato ancora acceso. Fine sparisce ed io mi fermo sotto i manghi ed osservo il viavai, ad un certo punto sento Tisileli che chiede chi è quello con la ta’ovala, gli rispondono il palangi, lui non ci pensa su 2 secondi, ordine di servizio: tutti a cambiarsi, e non vuole vedere gente senza ta’ovala, ma non tutti assieme, pochi per volta, senza dare nell’occhio, e quelli, alla spicciolata, se ne vanno per tornare bardati dopo pochi minuti. Accendono le luci, poi stendono le stuoie sul prato e preparano la kava all’aperto, mi unisco e mi siedo a bere, arrivano i ragazzi delle danze, sono nuovamente coi gonnellini di paglia ed i fiori, nel frattempo, tutto attorno alla piazza è arrivato tutto il paese, donne coi lattanti e vecchi compresi. I ragazzi si schierano e si siedono, Fine è di nuovo tra i suonatori col suo banjo, poi cominciano un lakalaka, ma non è lo stesso dell’altra volta, sono bravissimi e perfettamente sincronizzati, dura quasi 20 minuti e questo NON l’hanno provato in questi giorni (nemmeno nel bosco), forse è quello dello scorso Natale, ma lo fanno per la mia serata d’addio. Questa volta sono armato di macchina fotografica e chiedo il permesso di fare qualche foto, non e che me lo permettano, le foto LE VOGLIONO, peccato che sia buio, ed il flash non credo riesca ad illuminare tutta la fila, comunque qualche scatto lo faccio, poi protestano: se faccio io le foto, loro non ne avranno nessuna in cui ci sia anch’io, per cui do’ la macchina ad un ragazzotto che sembra sveglio e spero bene, ora il fotografo è lui.

Dopo lo spettacolo continuiamo il fai kava al club, sono contenti e tristi allo stesso tempo, parlano uno alla volta, Tisileli traduce, mi ringraziano di essere andato da loro, parlo anch’io, sono commosso ma riesco ad andare avanti lo stesso in qualche modo. Verso mezzanotte rientro da solo, Fine era sparito dopo le danze, ed ho una sorpresa:
Lesieri fa la tou’a nel suo primo fai kava in casa, butto l’occhio ed oltre alle solite facce vedo il tizio di Fotuha’a, sono contento per lei, si sa mai che le vada bene! Bevo un paio di tazze con loro e poi me ne vado, fuori, vicino alla cucina trovo Fine ed un suo amico alle prese con un loro fai rhum privato.

Hanno messo le mani su una bottiglia di rhum, l’hanno versato in una grossa teiera d’alluminio ed allungato con l’acqua, ora se lo stanno scolando, sono entrambi fatti come scimmie, mi unisco volentieri a loro finché il rhum finisce. Fine vuole andare a vedere come va il fai kava della figlia, tecnicamente ne ha il diritto ma sarebbe un rompere le balle a tutti per nulla, cerchiamo di trattenerlo, poi arriva uno con un’altra bottiglia di rhum e Fine decide di restare a farle onore, cosicché’ si ricomincia. L’amico di Fine è completamente partito ancor prima di iniziare e se ne va in qualche modo, rolla e beccheggia parecchio, restiamo in 3, io bevo pochissimo, grandi gesti, bicchiere pieno, lo rabbocco ogni 2 minuti ma bevo solo poche gocce, gli altri due sembrano attaccati ad una mammella. Alle 2 Fine vuole andare bere kava con la figlia, non riusciamo a trattenerlo, cosi’ lui va a casa ed io a dormire nella capanna del figlio, ma fa caldo e ci sono zanzare, alle 5 mi alzo e vado in casa, il fai kava è finito, ma il rhum no: Fine e l’amico sono ancora li’ a mungere la teiera, bevo un paio di mezzi bicchieri con loro e mi rimetto a dormire (come se fosse possibile).

Alle 7 mi alzo, ora sono di nuovo in 3, quello che se n’era andato è tornato, oramai di rhum non credo ce ne sia più molto. arriva la figlia (forse quindicenne) di uno dei 3 a prelevarlo ed a portarlo a casa, lui non si regge bene, barcolla e va parecchio a zigzag, la figlia un po’ lo puntella ed un po’ lo spinge, non è ne arrabbiata ne imbarazzata, anzi, sembra divertita, nessuna frase del tipo “ma guarda in che stato sei, come ti sei ridotto” etc etc come succederebbe sicuramente da noi, lei guarda il padre con affetto e sorride, gli altri due, ubriachi quanto lui, lo prendono in giro, e padre e figlia se ne vanno in qualche modo, è effettivamente comico.

Ieri sera Fine ha preso 4 kg di zucchero, lo so perché aveva le mani occupate e l’ho portato io, ma col traffico della nottata qualcuno ha lasciato la porta della cucina aperta ed il cane ci ha messo su le zampe e la lingua e si è lappato tutti e 4 i kg, non c’è zucchero per il the, Fine non si regge in piedi, ed inoltre è molto impegnato con la sua teiera, il negozio è a 10 passi da casa cosi’ vado a comprarne altri 2 kg :-): Non so perché, ma tutta la scena mi rammenta, quasi un dejavu, un libro letto qualche mese fa, scritto da un Tongano che insegna all’Università del Pacifico, sembra quasi che quello che ha scritto il libro conoscesse Fine ed abbia preso lui come base per il suo come protagonista, il titolo di quel libro è già di per se’ un programma: “Pain in the arse”, se qualcuno che legge queste note vuole divertirsi, lo consiglio vivamente, è edito in Australia, non dovrebbe essere difficile ordinarlo e farselo arrivare, ne vale effettivamente la pena.

Alle 9 tiro su i bagagli, non vedo Fine, chiedo ed Ema mi dice che e sotto un mango, con la teiera del rhum :-), mi avvio alla spiaggia, mi accompagnano Sela, Lesieri ed i e ragazzini, passiamo per la piazza del paese ed in effetti Fine e l’amico sono li’ sotto un mango, l’amico e crollato e dorme, ma Fine è duro da morire, e la teiera ha ancora qualcosa da dare, lui si alza e viene con noi, Sela lo guarda con amore (e’ l’unica cosa che posso dire di quello sguardo), un po’ lo aiuta, lui si porta la sua teiera con l’acquasanta ed arriviamo alla spiaggia. Saluto tutti, Fine, dopo i saluti si siede sulla sabbia e tira fuori le ultime stille di sacro sangue dal suo graal.

Arriva Hatu, il kava planter che mi porterà a Tofua, l’ho conosciuto ieri pomeriggio, lo saluto e carichiamo i bagagli ed un sacco con poche vettovaglie: 4 kg di zucchero, 7 bredfruits, 2 scatole da ½ kg di sgombri e forse ½ kg di costicine di maiale. Poi arriva una barca ed aspettiamo che approdi, riconosco la capitana, da queste parti è famosa: suo padre faceva il barcaiolo, ma non ha avuto figli maschi, cosi’ quando è stato il momento, lei ha preso il timone della barca ed ha proseguito l’attività (Hatu dirà più tardi che la ragazza è la sua girlfriend), ora viene da Matuku, dice che ha trovato del tabacco (entrambe i negozi a Kotu l’hanno finito), ma è una marca strana, mai sentita nominare, comunque Hatu se ne fa dare 5 pacchetti (a Tofua non ci sono negozi). Poi ci imbarchiamo, salpo l’ancora e ce ne andiamo. Fine è ancora li’, seduto sulla sabbia, pencola un po’ ma non dorme e non crolla, la teiera invece, esausta, finalmente riposa.
 

Note esplicative relative alle tradizioni richiamate in questo testo

* 1 - Uno dei più grossi tabu’ è quello dell’incesto, non sono permessi matrimoni all’interno della stessa famiglia (qui quando si parla di famiglia, si intende sempre la famiglia estesa), addirittura, se ci sono figli maschi e femmine, quando i maschi raggiungono la pubertà DEVONO andare a dormire in un’altra casa, magari solo a mezzo metro di distanza, ma dev’essere una casa diversa, le figlie restano a dormire in casa. I visitatori maschi, se della stessa famiglia dormiranno nella casa dei figli, se non c’è legame di parentela possono dormire nella casa principale, le femmine, comunque e sempre nella casa principale.

* 2 - Se c’è una tou’a, nel suo gruppo non può esserci nessuno appartenente alla stessa famiglia, unica eccezione il padre: è l’unico della famiglia cui è permesso bere kava servita dalla figlia, ma generalmente il padre beve kava con la figlia soltanto quando si aspetta che qualcuno chieda di restare dopo il fai kava, e quindi potrebbe esserci la necessità del suo OK. Nei clubs si formano subito diversi gruppi e si inizia a bere la kava, più tardi arrivano le ragazze, ognuna sceglie un gruppo e va a prendere il proprio posto, immediatamente, in ciascuno dei gruppi, i related della tou’a si alzano e cambiano gruppo; quasi sempre, inoltre, c’è un gruppo in cui NON c’è una tou’a, li ci vanno quelli che per un verso o per l’altro non potrebbero stare in nessun altro gruppo. Ci possono essere cantanti e suonatori in ciascuno dei gruppi, in tal caso ognuno canta (o dovrebbe) per la propria tou’a, a volte però ci sono solo 3 o 4 suonatori, in tal caso formano un gruppetto a parte, generalmente si mettono in mezzo alla hall, senza nemmeno la boule della kava, ognuno di loro, quand’è il momento, si fa riempire la tazza da qualcuno dei diversi gruppi attorno, ove la tou’a non sia sua parente. Ho visto un’eccezione, a questa regola: nel primo viaggio, col Magistrato, ad Ha’afeva, si trattava non di una piccola cerimonia di benvenuto, e la tou’a era della stessa famiglia di Sailosi, e lui DOVEVA esserci, per cui si è seduto il più lontano possibile ed ha assunto l’espressione da ubriaco, ha bevuto quando gli hanno passato la tazza e non ha detto parola; quando la cerimonia è finita si è alzato ed è tornato sobrio.

* 3 - In un fai kava privato (ma può succedere anche nei clubs), se le cose vanno in un certo modo, è diritto di uno dei partecipanti, di chiedere di restare dopo il fai kava, quando tutti gli altri se ne andranno. Lo chiede alla ragazza e specifica anche perché vuole restare, generalmente per parlare, ma sono permesse dalla tradizione anche altre motivazioni. Nel caso che qualcuno chieda di restare il padre della ragazza (se è presente ) può negare il permesso (ma generalmente da il permesso preventivo, almeno per il solo parlare, e non si fa proprio vedere), l’ultima parola spetta alla tou’a che può accettare o rifiutare, oppure, se è molto tardi o è stanca, può proporre un incontro alternativo per l’indomani (ritardo che l’uomo può accettare o rifiutare e pretendere un si o no immediato, ma in tal caso è quasi certo un no), se c’è un rinvio DEVE essere il giorno dopo: sarà la ragazza a dover organizzare l’incontro ed  far sapere per tempo, all’interessato, dove e quando. In questo tipo di incontri, la tradizione dice che è diritto della famiglia che uno dei genitori della ragazza sia presente all’incontro (ma solitamente nessuno si avvale di tale diritto), se uno dei genitori vuole essere presente la ragazza siede con la schiena ad una parete, l’uomo con la schiena alla parete di fronte, ed il genitore con la schiena ad una delle pareti laterali, ma non ascolta, non è suo diritto ascoltare, sarà la ragazza, poi, se vuole, a riferire circa il colloquio. Se la richiesta di restare riguarda altre cose, oltre che il parlare (non spesso, ma a volte succede, Nomuka & Ha’afeva docent!), e la ragazza e’ d’accordo (il padre, se al corrente, potrebbe porre il veto, ma se non c’è = niente veto, inoltre lui, a quel punto, ha autorità solo sulla ragazza), i due sono lasciati soli da qualche parte con la benedizione di tutti.

* 4 - Prassi da seguire, secondo la tradizione, per sposarsi.
Innanzitutto è il maschio che deve prendere l’iniziativa, anche se, a volte, è la ragazza che si fa avanti. Comunque sia, quando il maschio individua una ragazza che gli piacerebbe sposare va casa della ragazza e chiede di parlare con lei, durante il colloquio può chiederle o meno il suo parere, fino a quel punto non è importante. Se la ragazza lo gradisce, sarà lei a dirgli spontaneamente chi è lo zio (fratello del padre), oppure in mancanza di zii paterni chi è il capofamiglia, e dove può essere reperito, cui quello deve rivolgersi. Se la ragazza non lo dice da sola, è diritto dell’uomo chiedere ed avere una risposta precisa in merito. Poi l’uomo se ne va, ancora non c’è alcun impegno da parte di nessuno. L’uomo, se vuole andare avanti, si procura l’anello di fidanzamento (o la fede matrimoniale), si procura anche un grosso maiale (o un pacco di cibo equivalente) e con quello va a far visita allo zio (o al capofamiglia), gli regala il maiale o il cibo, e spiega che è li’ per chiedere in moglie la nipote (e dice anche quale, perché molto spesso, di nipoti maritabili, ce ne sono diverse :-)). Lo zio chiama la nipote, ed in presenza del pretendente le dice che è stata chiesta in moglie, e le chiede se lo accetta o meno, la ragazza deve decidere per il si o no. Se è no, l’uomo se ne va e tutto e finito, se invece è si, è la ragazza che se ne va dopo aver ricevuto l’anello. L’uomo resta a parlare con lo zio, che si informa un po’ su tutto, poi viene congedato ed aspetta una risposta.  Lo zio, a quel punto, informa e relaziona i genitori della ragazza (ed eventualmente rende pubblico il fatto che la ragazza è stata richiesta), da’ anche il suo parere, nel caso che il parere dello zio sia diverso da quello dei genitori, prevale quello dello zio, ma è rarissimo, in genere c’è l’unanimità (tecnicamente anche la madre ha diritto di dire la sua, ma la madre sostiene sempre la tesi del proprio marito). Comunque sia, sarà lo zio a chiamare, oppure a far visita al pretendente, e comunicargli la risposta della famiglia. Se la risposta è stata positiva, ed il fidanzamento non è stato ancora reso pubblico, l’annuncio verrà fatto ora dallo zio. Il pretendente (eventualmente sente la ragazza, ma non è obbligatorio) decide i tempi per il matrimonio: deve organizzare un grosso banchetto, al quale partecipa la famiglia della ragazza al completo (per quanto e possibile), la famiglia della ragazza può portare al banchetto ospiti a piacere. Il pretendente, in tale occasione, invita pure lui degli amici, meglio se persone importanti. In tale occasione il futuro sposo dimostra di essere abbastanza facoltoso, dimostra inoltre di avere amici importanti, e tutto questo da’ “onore” alla famiglia della sposa: la figlia non va a finire da un mentecatto, ma da uno che può.  Tale festa viene tenuta sull’isola di residenza dello sposo, ed è la famiglia della sposa (con tutti i suoi ospiti) che deve spostarsi.  Poi, finalmente, i 2 si sposano, prima civilmente (generalmente dal Town Officer, e questo è il matrimonio dal punto di vista legale), poi vanno in una chiesa a piacere (se vogliono) e si sposano in chiesa (civilmente, il matrimonio religioso non ha alcun valore, mentre per la vox populi è l’unico che conta). Dopo il matrimonio la moglie tira su i propri bagagli, il corredo (spetta a lei preparare le stuoie che faranno da letto, lenzuola, cuscini, coperte etc. etc.) ed i due se ne vanno a casa del marito e cominciano la loro vita coniugale.  Generalmente il matrimonio viene celebrato nell’isola di residenza della moglie. Qualche volta, immediatamente dopo il matrimonio c’è il pranzo di nozze, ma non è previsto dalla tradizione. In pratica, fuori dalla chiesa i 2 vanno a casa della ragazza, lei si cambia, tira su i bagagli ed i 2 se ne vanno ad abitare nella casa ove vivranno (compito dello sposo avere la casa, ed è lui a decidere dove).  Durante la notte nuziale, i 2 sposi consumano, e li attorno, non troppo vicino, tutti in attesa, sarà un ragazzino, od una vecchia donna che sbircerà quanto succede e riferisce agli altri a gesti (o il ragazzino fa una corsa e riferisce, per poi subito ritornare al suo posto d’osservazione. La mattina dopo le nozze, qualcuno (a volte mezzo villaggio) se le condizioni sono tali per cui la ragazza avrebbe dovuto essere ancora vergine, verificherà la tapa nuziale, e, grosso disonore alla ragazza (ed alla sua famiglia) se non c’è la prova evidente della deflorazione. La mancata verginità (quando invece dovrebbe esserci) è motivo sufficiente, per lo sposo, di riportare la ragazza alla sua famiglia e considerare rotto il matrimonio, ma se intende avvalersi di tale diritto, deve esercitarlo subito, quel mattino stesso, ma è un caso rarissimo, generalmente non si arriva mai a quel punto (quando ciò succede, è lo zio che ha trattato il matrimonio che, oltre alla faccia, perde ogni credibilità da parte di chiunque). Se tutto prosegue, comunque, entro breve tempo (una, max 2 settimane), è la famiglia della sposa che deve organizzare, nella propria isola, un grosso banchetto, al quale interverranno i 2 sposi e tutti quelli che il neo marito riterrà opportuno invitare (in genere tutta la sua famiglia estesa), più gli amici (le persone importanti a non servono più, però a volte ci sono). è la famiglia della sposa che a quel punto DEVE organizzare qualcosa che sia all’altezza, per quanto possibile, del banchetto organizzato dallo sposo (in termini di ricchezza di cibi, numero di invitati e di persone importanti), inoltre a tale banchetto parteciperanno, quasi sicuramente, tutti quelli che erano andati alla festa dello sposo, per verificare e testimoniare che l’onore ricevuto è stato ricambiato con altrettanto onore. Se il banchetto di risposta non è all’altezza, la considerazione sociale della famiglia della sposa scade notevolmente.  Scopo di tale festa e quello di dimostrare al neo marito che tutta la famiglia lo ama e lo tiene in alta considerazione. C’è da notare la parte preponderante che spetta allo zio in questa vicenda: lui, in effetti è il garante (verso lo sposo e verso la collettività) dell’”onorabilità” della nipote, nei casi dubbi, lo zio sentirà la ragazza a parte, ed eventualmente parlerà con lo sposo per vedere se le cose sono comunque accettabili (quasi sempre è il pretendente stesso che ha anticipato i tempi), senza che si debba arrivare al ripudio pubblico, se le cose non sono accettabili, sarà lo zio stesso che (senza dir niente a nessuno) darà parere sfavorevole al matrimonio, magari accampando qualche scusa, tanto è il suo parere quello vincolante.

* 5 - Qui la verginità è ancora uno dei valori di base, una ragazza, al matrimonio, deve essere vergine, altrimenti il marito ha il diritto di rifiutarla. Ci sono eccezioni a tale regola, ma sono tutte rigidamente codificate da altre tradizioni, più antiche, risalenti all’epoca tribale precristiana. In tali situazioni, comunque, le cose sono sempre pubbliche: ad esempio, quando succede, tutti sanno che quella tal ragazza ha fatto la sua scelta, esercitando il proprio diritto di tou’a (era una delle forme di matrimonio tribale, ed ancora oggi ha un suo valore e notevole peso sociale), e lo sa anche l’uomo che ora l’ha chiesta in moglie, e nel fatto che la ragazza non sia più vergine non c’è nulla di riprovevole, un po’ come se la ragazza fosse vedova di un precedente matrimonio: nessuno può aspettarsi che sia ancora vergine. Alla fin fine è la stessa cosa ma regolata da una tradizione diversa.
 

Nota dell’autore:
Quanto sopra narrato è l’esperienza personale del mio viaggio a Kotu (Ha’apai Group, Kingdom of Tonga). I fatti descritti non sono immaginari, ma sono come effettivamente io li ho vissuti, nel periodo dal 12 al 20 novembre 1997. Anche i nomi delle persone sono reali, anche se in qualche caso i nomi sono stati volutamente omessi.
Per quanto riguarda le tradizioni non ci metto la mano sul fuoco: non esistono regole scritte, si apprendono a spizzichi e bocconi, qui e la’, dalle situazioni della vita, spesso dopo qualche tempo si apprende qualcosa che rivoluziona completamente qualche aspetto di quanto fino a quel momento erroneamente supposto.
A volta, chiedendo, si ottengono spiegazioni esaurienti, altre volte solo accenni, o silenzio, o magari un sorriso. Molto spesso, inoltre, ci sono problemi di linguaggio e di comunicazione. Chiedo scusa fin d’ora, ai lettori, alle persone descritte o citate, ed a tutta la società tongana per gli inevitabili miei errori di interpretazione.

Walter Mascarin

 
 
 

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